“Non avendo interesse per ragioni di mercato, a sfruttare le previsioni inserite negli strumenti urbanistici per costruire nuovi alberghi ci si è orientati a chiedere la trasformazione delle previsioni termali in quelle per interventi edilizi di altro tipo (residenziale, commerciale, ecc.). Il miraggio termale che diventa insomma l’apripista per vere e proprie speculazioni edilizie“. L’intervento di Gianni Sandon su un tema tornato di stretta attualità.
Nella storia recente del termalismo euganeo c’è una data che rappresenta un vero spartiacque tra 2 epoche diverse: è il 1975, quando la Regione Veneto approva la legge n. 31 “per la salvaguardia delle risorse idrotermali euganee”. Perchè la Regione, praticamente appena istituita, è spinta ad approvare con urgenza questa legge? La risposta si trova in particolare nella Relazione di presentazione della stessa legge al Consiglio regionale e si può riassumere così: lo sfrenato sviluppo delle terme degli ultimi anni stava creando seri problemi in varie direzioni: mineraria, urbanistica, ambientale… Cioè, in termini più espliciti, l’assalto sregolato al bacino termale, in particolare degli anni 50 e 60, stava creando una situazione insostenibile. Un risultato di cui certo non andare fieri.
Ma c’è un seguito ancora più significativo.
Per far fronte alla situazione la legge prevede che ci si doti di un piano specifico: il Piano di Utilizzo della Risorsa Termale (in sigla il famoso PURT). Lo si porta in Consiglio regionale per l’approvazione dopo 5 anni, nell’aprile 1980, allo scadere della legislatura. Ed è un piano che prevede per il futuro solo una contenuta ulteriore espansione degli insediamenti. E qui avviene un altro fatto di valore “storico” emblematico: tutte le amministrazioni locali si ribellano a questa “frenata” sollecitando pressantemente la Regione a lasciare aperte le porte ad ulteriori, generalizzati sviluppi. E nel giro di pochi giorni, se non di poche ore, il Piano (l’art. 10 per la precisione) alla mezzanotte del 23 aprile viene stravolto prevedendo la possibilità di aggiungere almeno altri 2500 nuovi posti letto.
Risultato? Da allora non uno solo di questi nuovi alberghi è stato costruito. Anzi, come da qualcuno previsto (pochi invero) si è andata profilando una crisi via via sempre più marcata, arrivando ai giorni nostri con decine di alberghi chiusi, o destinati ad altro o addirittura abbattuti. Potevano le strategie dei nostri amministratori essere smentite dai fatti in modo più radicale?
Su una delle conseguenze di questa miopia sarebbe d’obbligo una profonda riflessione per la perversa situazione che ha creato e che sta dando anche ora i suoi deleteri effetti. Non avendo interesse, proprio per ragioni di mercato, a sfruttare le previsioni inserite negli strumenti urbanistici per costruire nuovi alberghi ci si è orientati a chiedere la trasformazione delle previsioni termali in quelle per interventi edilizi di altro tipo (residenziale, commerciale, ecc.). Il miraggio termale che diventa insomma l’apripista per vere e proprie speculazioni edilizie. Se in qualche caso (vedi Valli Selvatiche di Battaglia) anche grazie a logoranti battaglie si è sventato questo pericolo, in altri, ed è attualissimo il caso di Monteortone, l’operazione è in pieno svolgimento. Parlare di Terme oggi, per tutelarne le vere potenzialità, vuol dire allora anche opporsi risolutamente a questa deriva ingiustificabile.
E non ci si dovrebbe dimenticare di almeno qualche altra conseguenza dell’assalto sregolato che ha caratterizzato la recente storia del bacino. Ci si può dimenticare per esempio che sono state travolte pressoché tutte quelle preziose testimonianze storiche diffuse nel territorio che avrebbero dato un senso più credibile alle tante glorificazioni di maniera che si fanno delle antiche origini delle Terme Euganee? Ma come si è potuto consentire la costruzione di alberghi addirittura nel cuore del Montirone ad Abano, o sul colle Bortolone, con tutte le sue presenze archeologiche, a Montegrotto? E non è un punto nero ancora quantomai aperto quella ferita a tutto il bacino rappresentata dalla chiusura sostanzialmente imposta negli anni 90 allo stabilimento termale dell’INPS a Battaglia? L’unico pubblico, certamente il più qualificato dal punto di vista sanitario e il più significativo da quello sociale. Da tempo di proprietà della Regione è ora nel più completo e scandaloso abbandono e rappresenta forse il simbolo della sconfitta di un termalismo come valore sanitario e sociale.
Che se poi si allarga lo sguardo anche ai Colli e non ci si lascia incantare da formule di rito, ci si troverebbe di fronte ad altre contraddizioni profonde.
Così per esempio il mondo termale non ha partecipato, se non con qualche meritorio ma isolato apporto personale a nessuna battaglia significativa per valorizzare questo territorio. Come alla storica battaglia di mezzo secolo fa per fermare le cave (troppo impegnati in quel periodo, vien da dire, a dare l’assalto al bacino). Oppure alla istituzione e poi al funzionamento del Parco e alla attuazione del suo Piano Ambientale. Addirittura si è lasciato aggredire da una sregolata urbanizzazione l’immediato contesto della città termale verso i Colli, quella che avrebbe dovuto costituire una preziosa cerniera tra queste due realtà tra loro così complementari.
Forse si sta rafforzando, se si può chiudere con un po’ di ottimismo, la convinzione anche all’interno del mondo termale che un po’ su tutti questi aspetti è davvero necessaria una presa di coscienza e un cambiamento di rotta. Speriamo però che non prevalgano, come già avvenuto in passato, spinte verso soluzioni avventate, come per esempio quelle che vorrebbero puntare verso parchi acquatici o villaggi western. O ascensori e teleferiche.