Una sanità sempre meno pubblica nella bassa padovana

Riprendono con l’affidamento a privati del Punto di primo intervento di Montagnana le esternalizzazioni di pezzi del servizio sanitario pubblico di questo territorio . Il Comunicato del gruppo Monselice – “Ambiente e Società”

Il titolo dei quotidiani del 2/12/2021 non può essere più azzeccato nel riferire della decisione della USL 6 di affidare il Punto di primo intervento di Montagnana a un raggruppamento di imprese private: La sanità pubblica ai privati.

            Proprio di questo si tratta: di uno dei tanti diffusi processi di esternalizzazione di servizi sanitari al privato che vanno ad aggiungersi al più profondo processo di privatizzazione della sanità pubblica in corso da decenni e che, come abbiamo toccato drammaticamente e luttuosamente con mano in questi due anni di pandemia, è stata una delle principali cause dello shock sanitario subito dal nostro sistema ospedaliero.

            La motivazione addotte dalla dirigenza sanitaria della USL6 sarebbe la carenza di personale medico e infermieristico necessario per mantenere aperto il Punto di primo intervento a Montagnana, carenza che la dirigenza estende a tutta l’Azienda sottolineando che l’attuale personale medico-infermieristico pubblico che opera a Montagnana verrebbe spostato, i medici a Piove di Sacco e gli infermieri a Schiavonia. La sanità della Bassa Padovana subisce un ulteriore colpo dopo il lungo periodo di chiusura dell’ospedale unico di Schiavonia, destinato a hub covid durante i mesi di maggiore emergenza pandemica e ancora oggi sotto dimensionato rispetto alle potenzialità e, alle necessità di una utenza numerosa e dislocata in un territorio molto vasto.

            Il presidio ospedaliero di Montagnana appaltato al privato non è un pronto soccorso ma un Punto di primo intervento che svolge funzioni ben diverse e non garantisce quel vasto territorio della bassa che gli è più prossimo proprio per gli interventi emergenziali, acuti, insomma quelli che un pronto soccorso svolge e che, spesso, rappresentano l’alternativa tra la vita e la morte per chi ne ha bisogno. Ora questo servizio, già depauperato con la sciagurata scelta di chiudere gli ospedali di Monselice e Este e declassare quello di Conselve a favore di un ospedale per acuti nel deserto di Schiavonia, viene privatizzato. Cioè affidato a un raggruppamento di imprese private che utilizzeranno proprio personale medico e infermieristico; lo faranno con la prospettiva di un anno di appalto – quindi in condizione di precarietà essendoci la possibilità anche di vedere non prorogato il loro rapporto con l’USL 6 – e per un compenso che, a spanne, se il personale dovesse essere pagato secondo quanto previsto dal contratto nazionale della sanità, non porterà grandi margini di guadagno alle imprese del raggruppamento che ha vinto l’appalto.

Si tratta di buoni samaritani? Abbiamo fondati dubbi che non lo siano. Sono imprese private la cui mission principale è ricavare profitto e i margini di profitto nell’appalto sono possibili solo razionalizzando il servizio. Solo che stiamo parlando di sanità pubblica e non di una fabbrica di tondini!

            Qualcuno ricorda la retorica durante i mesi duri della pandemia della necessità di potenziare la sanità pubblica? O l’elogio dei medici e degli infermieri in prima linea contro la pandemia? Dove sono finite tutte queste belle parole?

            Il Pnrr stanzia per la sanità 15,63 miliardi, fondi destinati sostanzialmente a innovazione digitale del servizio, telemedicina e a un generico ammodernamento degli ospedali. Lo stanziamento rappresenta appena l’8% del fondo europeo, in pratica meno di quanto previsto nel Piano per coprire i costi del bonus edilizio. Lo stanziamento per potenziare il servizio attraverso nuove assunzioni sia di medici che di infermieri e potenziare i servizi ospedalieri, dei pronto soccorso in particolare, è quasi inesistente. Eppure questa carenza la pandemia l’ha messa terribilmente in evidenza: i tagli al personale dei governi Berlusconi, Monti e Renzi hanno portato il rapporto infermieri/territorio a 5,6 ogni 100 abitanti contro la media Ocse di 8,8 (in Germania siamo al 12,9 e in Francia al 10,5); ogni infermiere dovrebbe servire 11 pazienti in questo modo quando un giusto rapporto dovrebbe essere almeno 1 a 6 (in alcune regioni il rapporto è persino 1 a 17 pazienti.

            La scelta della USL 6 di sopperire alla carenza di personale con l’esternalizzazione in appalto a imprese private risponde alle prospettive di finanziamento del settore previste dal governo Draghi con il Pnrr. Riprende di fatto da dove si era interrotto il processo di profonda privatizzazione della sanità pubblica e di svuotamento di ogni principio fondativo del Sistema Sanitario Pubblico Nazionale, ormai ricondotto alla logica del profitto e non del diritto alla salute uguale per tutti. Spiace allora sentire un sindaco come quello di Montagnana dichiarare che la priorità è quella di mantenere la struttura operativa senza accennare alla necessità per quel territorio di avere un pronto soccorso e non un presidio spurio di primo intervento e senza rilevare la gravità di vedere trasformato con delibera un punto pubblico sanitario in un presidio privato.

            C’è bisogno invece di sindaci che si indignano di fronte a questo processo di impoverimento del servizio sanitario nel nostro territorio. C’è bisogno della mobilitazione popolare per pretendere investimenti e interventi pubblici che ripristinino e potenzino il servizio sanitario pubblico nella bassa padovana, assumendo personale, aprendo e potenziando i servizi nel territorio, riducendo le attese per visite specialistiche e le cause che le determinano, volte a favorire il ricorso al privato (anche questa è privatizzazione strisciante della sanità pubblica). C’è bisogno, insomma, di una comunità coesa, istituzioni locali e cittadini, che rivendichi una sanità pubblica adeguata al servizio di questo territorio.

Monselice “Ambiente e Società”

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