Sant’Urbano non è la pattumiera del Veneto

La mobilitazione ambientalista

«Le discariche regionali sono state chiuse e tutte le emergenze vengono gestite nella discarica di Sant’Urbano. Per questo chiediamo alla Regione di avviare subito un percorso concreto di rifiuti zero, incentivando la riduzione della produzione di rifiuti, aumentando il riciclo e il recupero di materia». È il grido di allarme lanciato dalle associazioni ambientaliste della Bassa Padovana che sabato 15 marzo hanno manifestato davanti al municipio di Sant’Urbano (Padova) contro l’ennesima proroga alla chiusura della discarica tattica regionale.

Il presidio ha visto la partecipazione di una sessantina di cittadini e attivisti, tra cui Comitati Lasciateci Respirare di Monselice – Lendinara – Lozzo Atestino, Comitato No Polo Logistico Tribano, Legambiente Este, L’Altra Este, Italia Nostra Este, La Vespa Battaglia Terme, Il Colibrì Monselice, ADL Cobas, Gruppo Micologico Monselice, Comitato difesa Valli di Casale di Scodisia e Coordinamento dei comitati Polesani. Gli striscioni esposti parlavano chiaro: “Basta proroghe”, “Stop ampliamenti”, “Chiudere la discarica”.

Una discarica che cresce senza fine

La discarica, inizialmente pensata per rispondere alle esigenze della Bassa Padovana, ha progressivamente ampliato il proprio raggio d’azione, trasformando il territorio in un hub di smaltimento rifiuti. Questo il riassunto dell’intervento di Francesco Montecchio, che ha tracciato il percorso che dagli anni ’90 ad oggi ha insistito sulla discarica. Sono seguiti gli interventi degli attivisti Gianni Bregolin, Vanni Destro, Chiara De Rossi e Gianluca Stefani, che hanno esposto le preoccupazioni per il futuro del territorio e per la salute dei cittadini.

«Come sapete, è stata autorizzata l’ennesima proroga della discarica definita “tattica”» ha ricordato Francesco Miazzi «doveva all’inizio risolvere le problematiche della Bassa Padovana e invece è passata da 1 milione di metri cubi a 4 milioni nel 2020, fino ad arrivare oggi a 5 milioni di metri cubi, accogliendo i rifiuti da tutto il veneto. Il fine vita, inizialmente fissato al 2022, è stato spostato al 2029 e ora addirittura al 2031, con un ulteriore incremento di 200.000 metri cubi di rifiuti».

Non solo rifiuti: arrivano ceneri e scorie

Ma non è tutto. «In parallelo alla discarica è stato presentato un progetto per il trattamento dei rifiuti, definiti “non pericolosi”. Ma di cosa parliamo davvero? Di ceneri provenienti dagli inceneritori, scorie di alto forno e altro materiale che sicuramente non hanno contenuti salutari all’interno».

Un impianto che prevede il trattamento di 90.000 tonnellate all’anno, con il transito di ulteriori 3.000 camion sulle strade del piccolo paese della Bassa.

Il silenzio assordante della politica

«Tutto questo avviene in un silenzio assordante» hanno denunciato gli attivisti. «Silenzio da parte degli amministratori locali, a partire dal sindaco di Sant’Urbano, ma anche dei sindaci del circondario. È un silenzio che rischia di diventare complice».

Un’eredità tossica per le future generazioni

Un problema che riguarda non solo il presente, ma anche il futuro. «Questa discarica è nata per poche centinaia di migliaia di metri cubi e oggi ha superato i 5 milioniQuali saranno le conseguenze sulla tenuta del fondo? Il problema magari non sarà di questa generazione di amministratori e cittadini, ma potrebbe pesare su quelle future».

E dentro la discarica cosa si trova? «Rifiuti di ogni tipo. Compresi i fanghi provenienti da Trissino, carichi di Pfas, che ora ritroviamo in quantità preoccupanti nel percolato» hanno continuato le associazioni.

Acque contaminate, salute e agricoltura in pericolo

«Con questa motivazione hanno ottenuto l’autorizzazione per installare un impianto ad osmosi inversa per il trattamento del percolato della discarica. E subito dopo, guarda caso, hanno chiesto e ottenuto il permesso di trattare anche il percolato proveniente da altre discariche».

Risultato? «Sant’Urbano sta diventando un territorio destinato esclusivamente al trattamento dei rifiuti e di materiali altamente pericolosi».

Un’emergenza sanitaria che riguarda tutta la regione. «Parliamo di oltre 350.000 persone con livelli elevati di Pfas nel sangue, di contaminazioni nei canali e nell’acqua usata per irrigare i campi» hanno ribadito gli attivisti.

La vicinanza dell’area all’Adige e ad altri corsi d’acqua, come il Fratta Gorzone, è un ulteriore fattore di rischio. «Il trattamento dei percolati e il rilascio dell’acqua trattata non farà certo bene a questi fiumi e canali» ha sottolineato Miazzi.

Le lobby dei rifiuti bloccano il cambiamento

«Nel frattempo, tutte le discariche a livello regionale sono state chiuse e tutte le emergenze vengono gestite quiNon è questione di nimby, di “non a casa nostra”. Qui si tratta di far capire alla Regione che serve un cambio di rotta».

E il nodo centrale è uno: «Le lobby si oppongono. La lobby delle discariche, chi le gestisce e chi amministra inceneritori. Guarda caso, chi gestisce questa discarica è anche amministratore di un inceneritore e ha deciso che le sue ceneri vengano trattate proprio qui».

Basta rassegnazione: è ora di agire!

Per gli attivisti, la strategia è chiara: «Dobbiamo interrompere questa catena. Dobbiamo fermare la discarica». Ma il compito è sempre più difficile: «La popolazione di Sant’Urbano sembra ormai assuefatta, ha vissuto il disimpegno degli amministratori, ha subito passivamente questi fenomeni ed è anche stanca di reagire».

Ecco perché la battaglia non si ferma. «Dobbiamo rompere questa dinamica di rassegnazione. Lotteremo fino alla fine. Continueremo a denunciare questa situazione perché lo dobbiamo alle persone che sono qui oggi, ma anche alle generazioni future. Andiamo avanti e continuiamo questa battaglia».

IL MATTINO DI PADOVA O5-O3-2025
IL MATTINO DI PADOVA 16-O3-2025

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