“La svergognata. Diario di una donna palestinese”

Afaf, la protagonista di questo romanzo, è una casalinga di famiglia borghese che si qualifica, da subito, come figlia del professore e moglie del commerciante, sottolineando quanto la sua identità sociale dipenda da queste due importanti figure famigliari, non solo per il prestigio delle loro mansioni ma anche per la protezione sociale che padre e marito forniscono alle donne.

Il suo infelice matrimonio le è stato imposto dalla famiglia d’origine che le ha trovato “un buon partito”, un uomo benestante che le garantisce una vita agiata nonostante il fatto che Afaf (così come le sue sorelle) non potrà godere dell’eredità, riservata ai soli fratelli maschi.

Il marito la offende e diventa violento quando si ubriaca perciò, nonostante il frigo pieno, bei vestiti e una bella casa, sentendosi in una prigione che le provoca apatia e le ha fatto perdere l’interesse per la vita, sempre più spesso pensa al divorzio.

Si chiede:

È questo il matrimonio?

È questa la società?

È questa la natura?

È questa la realtà?

Vita mia, che ci sia un’alternativa?”.

Durante tutta la sua infanzia e adolescenza, è stata educata coi valori imperanti della rispettabilità della sua famiglia e dell’onore femminile da preservare, ma conserva ancora dentro sé un tratto ribelle che faceva molto arrabbiare i suoi genitori:

malgrado a scuola fossero in genere le ultime della classe” […] “Mi divertivo a paragonare” la spontaneità delle ragazze di umili origini “con la falsità delle ragazze del mio ambiente”.

Riguardo i suoi familiari sostiene: “Ritenevano importanti cose alle quali io non davo nessun peso”.

Sogna, da sempre, di innamorarsi davvero di qualcuno in grado di rispettarla, di un uomo maturo abbastanza da non aver paura di sentirsi un suo pari.

Ma l’amore,

per loro,

era una catastrofe,

uno scandalo,

una disgrazia […]

e sin dall’infanzia capisce, suo malgrado, che questa parola è un modo per appellare una ragazza con i termini peggiori che le si possano rivolgere: “svergognata e scostumata”.

Parole che le incutono paura poiché sa bene che in molti casi le donne accusate di svergognatezza vengono picchiate e, a volte, possono essere addirittura punite con la morte.

Un giorno legge “un libro sulla condizione della donna,

la sua educazione e il suo stato di prigionia,

leggendo che la donna non sarà mai libera,

anche qualora si liberasse da tutti i vincoli,

perché interiormente non è libera,”

quel giorno decide “di accettare la sfida”.

Il divorzio è però una scelta che richiede dei grandi cambiamenti nella sua vita.

Si dovrà trovare un lavoro e adattarsi a vivere con poco.

Un’alternativa che richiederà “pazienza, perseveranza e sforzo”.

Nonostante i dubbi sul futuro, convince il marito a concederle di poter andare da sola a trovare la sua famiglia d’origine in Palestina poiché non può lasciare un paese mussulmano “senza il permesso di chi le è legalmente responsabile.

Riesce a vincere i timori legati al fatto che non ha mai viaggiato da sola, parte in aereo e durante il volo conosce una musicista irlandese che prima di accomiatarsi le dice:

Oh, come una donna assomiglia all’altra”.

I nostri due popoli hanno due cause simili, così come io e te ci somigliamo”.

Arrivata ad Amman decide di andare a trovare Naval, una sua amica dai tempi della scuola, che fin da bambina lotta per l’indipendenza del popolo palestinese.

La sua famiglia aveva una storia fatta di arresti, torture, interrogatori.

Chi non conosce la corruzione ne paga il prezzo.

La feci parlare a lungo delle storie dei popoli che avevano imbracciato le armi e avevano fatto la rivoluzione per ottenere l’indipendenza.

Oggi era il turno della Palestina.”

“Le domandai alla fine: Quando verrà il turno di Afaf?

Mi rispose:

Afaf è parte della rivoluzione della donna palestinese e questa è parte della rivoluzione palestinese, che a sua volta è parte della rivoluzione mondiale.

Afaf ironizza accusandola di contraddirsi:

Sulla via della rivoluzione, ma come?

Vuoi forse dirmi che il contadino non sgozza sua sorella e l’operaio non strozza sua moglie quando questa commette adulterio?

La borghesia è tollerante ma ci calpesta.

L’operaio ci calpesta ma senza essere tollerante.

Questo è il ritornello.

La protagonista aggiunge che per quanto sia istintivamente legata alla sua terra d’origine, la Palestina è “un paese che mi ha insegnato ad accettare di buon grado l’oppressione” della donna “definendola un modo per salvaguardare il mio onore” mentre io “So che non avrei mai amato l’amore se mi fossi piegata agli schemi che ci sono imposti”.

Tornata a casa, trova la madre (invecchiata ma più amorevole di un tempo) e “Le stesse facce, lo stesso caffè col cardamomo. Lo stesso sparlare della gente e le stesse futili storie.”.

La protagonista si chiede: “Nella mia cittadina conservatrice esiste l’amore?

[…] Non parlano d’altro. Matrimonio, divorzio, scandali, gravidanze, nascite, sterilità e secondi matrimoni.

Afaf, infine, confida alla figlia di un’amica di sua madre che vuole divorziare ed è sterile.

La ragazza le risponde “Il modo di pensare è cambiato”.

Afaf non ne è affatto convinta ma spera profondamente che la mentalità potrà cambiare in futuro.

Sahar Khalifah ha fondato a Nablus, poi a Gaza City e ad Amman un Centro per le Donne, un’organizzazione che punta a riconoscere un ruolo sociale e politico alle donne.

Con quest’opera, del 1986, l’autrice accenna alla causa palestinese ma, soprattutto, scava nei desideri di una donna che ambisce a una maggiore qualità dei rapporti umani invitandoci a scardinare certi schemi mentali obsoleti che ostacolano il progresso verso un futuro più giusto, equo e umano.

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