IL DEBITO BUONO DI MARIO DRAGHI

La nuova cornice neoliberista del Governo – Pubblichiamo un approfondimento di Paolo De Marchi

  1. Congiura a Palazzo

Quando il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha incaricato Mario Draghi di formare un nuovo governo si sono levati immediatamente i cori da stadio e gli evviva dei maggiori gruppi editoriali, delle associazioni padronali e di categoria, delle più importanti voci del giornalismo televisivo e della stragrande maggioranza dei commentatori politici che imperversano da anni in tv, nei social e sulla carta stampata. A questi si è subito aggregata con una incredibile operazione di trasformismo la maggioranza dei partiti politici.

Le acclamazioni non riguardavano semplicemente la soddisfazione per la scelta di affidare il governo del Paese a un autorevole e competente esponente dei poteri economico-finanziari mondiali ma anche per la fine di un Governo e, in particolare, di un premier, Giuseppe Conte, un pò trasformista certo ma diventato sin troppo popolare, il quale, seppure in modo confuso e molto abborracciato, aspirava a ridare protagonismo attivo allo Stato nelle scelte economico-industriali candidandosi anche alla guida di una altrettanto confusa transizione green.[1] Molto fumo, poco arrosto ma è bastato a renderlo indigesto ai più negli ambienti politici, economici e finanziari nazionali. Medesima soddisfazione veniva esternata per la fine di una maggioranza a indirizzo maggioritario grillino la cui compagine, pur avendo dato innumerevoli prove di demagogia populista, disarmanti pulsioni securitarie e spinte razziste in materia di immigrazione, era riuscita ad inserire nell’agenda di governo temi come quelli relativi al reddito di cittadinanza e al salario minimo (anche se declinati in un’ottica workfare) e continuato ad ostacolare lo sblocco acritico dei cantieri delle Grandi Opere; depositato, inoltre, anche se timide, proposte legislative di impostazione green come la tassazione sulla produzione della plastica e l’incentivazione della mobilità alternativa alla locomozione automobilistica.

La composizione di buona parte del Governo Draghi con la classica spartizione “Cencelli” dei ministri e sottosegretari, il richiamo nel discorso di investitura di Draghi in Parlamento al lavoro svolto dal precedente Governo e le prime iniziative ministeriali, specie per quanto riguarda il contrasto al covid e il piano vaccinale, non segnano affatto quel salto di qualità e quella radicale discontinuità dal precedente esecutivo, auspicati e narrati dalla grande stampa nazionale, dai commentatori politici e dai tanti esegeti del nuovo “salvatore” della Patria, a significare che l’operazione di sfiducia del Governo Conte non rispondeva all’urgente necessità di sottrarre il comando del Paese a una compagine di dilettanti e di incompetenti, bensì, attraverso una delle più classiche “congiure di palazzo” della storia repubblicana, al proposito, sollecitato da precisi ambienti editoriali e imprenditoriali legati ai poteri forti dell’economia e della finanza nazionale, di mettere in mani sicure il pacchetto di risorse monetarie in arrivo dalla UE e la loro finalizzazione per il prossimo medio-lungo periodo al servizio dell’uscita del sistema dalla crisi e del riposizionamento del comando capitalistico.

Sgomberato il campo dalla retorica mediatica, il messaggio è arrivato chiaro e limpido: il Recovey fund e il piano nazionale di destinazione delle sue risorse necessitano di una guida riconosciuta, affidabile e, soprattutto, proveniente dagli ambienti internazionali candidatisi al ripristino e rilancio del sistema dominante. E la composizione della compagine “tecnica” del nuovo Governo e poi la distribuzione dei viceministri e sottosegretari lo dimostra chiaramente: economia e finanza al potere.[2] Si tratta di tornare con i piedi per terra: basta con il buonismo a piene mani propinatoci dai media sino dal primo lockdown del “ne usciremo migliori” come sistema paese e sistema mondo o della bufala “siamo tutti sulla stessa barca” e ci salveremo insieme.[3] Altro che rilancio e ripristino della sanità pubblica e ritorno della centralità del welfare a favore dei cittadini; altro che reddito di base universale e riduzione delle differenze salariali e sociali; Draghi è stato chiamato a redigere il recovery plan nazionale secondo linee di indirizzo che segneranno le politiche economiche e sociali nel prossimo medio-lungo periodo, accompagnandole con politiche che dovranno favorire il dislocamento in avanti – come avviene per ogni crisi profonda del sistema capitalistico – del comando capitalistico su scala nazionale e internazionale (a scapito si diceva un tempo della classe).[4]

Il Recovery fund contiene infatti alcuni vincoli da cui , seppure non inalterabili, sarà ben difficile svicolare. Ad esempio il previsto settennato di rispetto degli obiettivi nazionali che verranno fissati dal piano, la cui stesura definitiva deve essere fatta entro aprile per accedere ai fondi europei e il recinto fissato dal regolamento, approvato anche dalla “nuova” Lega di Salvini “europeista”, entro il quale gli Stati membri beneficiari delle risorse dovranno muoversi, pena l’interruzione della loro erogazione da parte della UE.[5

2. L’uomo della provvidenza neoliberista

Draghi dovrà garantire a fianco della stesura di un piano coerente con gli obiettivi di medio periodo di uscita dalla crisi del sistema economico e produttivo nazionale anche il rispetto degli stessi nella scansione temporale prevista grazie alla sua autorevolezza presso i piani alti dei palazzi del potere economico e finanziario europeo, ipotecandone la realizzazione per i governi futuri. Proprio in questo senso va interpretato l’accenno fatto da Draghi nel suo discorso in Parlamento della non necessità che questa sua avventura abbia un tempo lungo, bensì, semplicemente, il tempo necessario…a porre, appunto, le basi di un piano di ripresa capitalistica del Paese vincolante nel contesto europeo e internazionale.

Nello stesso discorso Draghi ha posto quali caposaldi del suo Recovery Plan l’innovazione tecnologica e la transizione digitale e ecologica collocandone l’approntamento in una prospettiva di rilancio della crescita economica del Paese coerente con gli indirizzi europei e internazionali in un contesto di azioni per l’uscita dalla crisi globale, in particolare, nel versante occidentale del Pianeta, cuore pulsante del sistema capitalistico, maggiormente colpito nelle sue istituzioni politiche e nella struttura economica, produttiva e distributiva dalla pandemia da covid-19.

E’ bene, infatti, avere chiaro il contesto internazionale in cui si colloca la nostra crisi politica e di sistema mentre continua ad imperversare la pandemia per capire quale sia l’urgenza di approntare piani di rilancio capitalistico proprio in questo versante geopolitico e geoeconomico.[6]

Guardando la cartina geografica mondiale della diffusione del covid-19 nella prima esplosione pandemica i casi si sono concentrati oltre alla Cina dove la pandemia aveva avuto il primo focolaio e nelle vicine Corea e Giappone, anche nel versante occidentale – Europa, Nord America, buona parte del continente latinoamericano e parte del medio oriente. La situazione attuale, invece, concentra la diffusione del coronavirus soprattutto in Europa, Nord America (più gli Stati Uniti del Canada), in una parte consistente del continente latinoamericano (Brasile, centro America, Stati della costa pacifica del continente) e in alcune aree più distinte del medio oriente. In queste parti, sostanzialmente la parte occidentale del Pianeta, già colpite duramente dalla prima ondata, la pandemia persiste e colpisce maggiormente. Sono attualmente meno colpite o ne sono del tutto esenti, invece, Groelandia e Stati a ridosso dell’emisfero artico, buona parte dell’Africa (in particolare la parte centrale del continente) e buona parte dell’Asia e dell’emisfero australe.

Lo sforzo volto a ripristinare nel tempo più breve possibile le catene del profitto capitalistico proprio nei gangli geografici principali del sistema risulta, perciò, evidente da questa fotografia e le risorse che stanno per essere messe in campo non punteranno affatto nè a equilibrare le condizioni generali di vita della popolazione mondiale e, tanto meno a modificare radicalmente il rapporto delle politiche neoliberiste, predatorie e estrattive di risorse naturali e umane, con l’ecosistema e le sue specie viventi ma a dislocare il comando ad un livello ulteriore di sfruttamento globale.

La convivenza multispecie e la necessità di evolversi insieme in un pianeta infetto che abbiamo imparato ad apprezzare nel pensiero femminista di Donna Haraway[7] come nuova prospettiva paradigmatica di uscita positiva per la nostra specie dall’esperienza pandemica insieme al resto delle specie terrestri dovrà trovare, oltre a un cambio di pensiero e di pratiche anche gli strumenti necessari di lotta e di contrasto alla visione paradigmatica diametralmente opposta di uscita dalla crisi planetaria progettata dal potere neoliberista dominante, fatta di lacrime e sangue per le classi cosiddette (mai come oggi) subalterne. Operando una caduta verticale nella nostra realtà nazionale e riconducendo questa contrapposizione paradigmatica a materiali passaggi concreti, per i movimenti collocarsi in una prospettiva come suggerito dalla Haraway, significa in questo momento far pesare conflittualmente il dirottamento delle risorse che arriveranno dalla UE e la stessa spesa pubblica a investimenti sociali redistributivi di ricchezza (reddito, salari, servizi) e a cambiamenti radicali delle politiche ecologiche, partendo, ad esempio, da uno stop netto all’allevamento intensivo, al consumo del suolo, alle produzioni nocive.

Il nostro giudizio critico, quindi, sul nuovo Governo Draghi, sui suoi indirizzi e sugli obiettivi che, per ora, sono solo annunciati, sulle sue contraddizioni e sul guazzabuglio di interessi confliggenti tra forze politiche diverse tenute insieme da Draghi vincolandole ad un passaggio nodale, cioè la credibilità dell’Italia di fronte alla UE creditrice del Recovery fund, consentendogli la partecipazione alla finalizzazione dei fondi europei da subalterni al suo gruppo di Ministri “tecnici” (sempre che questo schema gli funzioni), non può prescindere dalla cornice globale in cui la sua azione si colloca e dal conflitto radicale, seppure di forze oggi enormemente impari, tra due prospettive opposte di fuoriuscita dalla crisi pandemica e di esistenza in un pianeta ormai irrimediabilmente infetto ma sul quale potrebbero darsi nuove prospettive di esistenza, non necessariamente basate sulla ulteriore profondità delle differenze di classe. Ipotesi quest’ultima che per il nuovo corso neoliberista di uscita dalla crisi pandemica va soffocata sino dai primi vagiti, evitando non solo che attecchiscano movimenti che vi si riferiscano ma anche solo immaginazioni in tal senso.

Va, quindi, chiarito, dopo le prime mosse di Draghi e l’illusione degli ambienti progressisti, che non siamo di fronte ad un ritorno in qualche misura del modello socialdemocratico di welfare state o anche solo ad un riavvicinamento a una prospettiva simile di società: quando Draghi parla di debito buono e debito cattivo lo fa rimanendo saldamente all’interno dell’ideologia neoliberista dominante sapendo che per l’Europa non è più il tempo di politiche rigoriste all’insegna dell’austerity ma quello di una fase necessariamente espansiva e, quindi, fatta di politiche all’insegna dello sforamento dei bilanci, utilizzando il debito per necessari investimenti.

All’interno di questo contesto egli definisce debito buono quello prodotto per favorire il consolidamento di filiere produttive tecnologicamente innovative e di prospettiva nella cornice della transizione ecologia, digitale e tecnologica, mettendo a profitto anche le opportunità fornite dalla rivoluzione algoritmica e dalle applicazioni concrete derivate dalla ricerca sulle I.A..[8] Tutto questo in coerenza con quanto stanno facendo e progettando gli altri Stati capitalistici, in Europa e nel resto del mondo.

Quando, viceversa, parla di debito cattivo intende quello prodotto dal sostegno a pioggia di filiere produttive obsolete e prive o con scarsa prospettiva di crescita che, appunto, nel suo disegno andranno probabilmente sacrificate o lasciate navigare nel mercato sino a quando ce la faranno.[9] Però da sole e senza più alcun sostegno economico duraturo dello Stato.

Ciò non significa che cesseranno bonus, fondi e ristori, anche distribuiti a pioggia in alcuni settori ma non saranno la parte significativa del piano e della finalizzazione dei fondi – serviranno per non far collassare troppo rapidamente alcuni settori produttivi o imprese e aziende non in grado di competere a livello europeo e mondiale, per salvaguardare la rete del commercio e della vendita al minuto dove, comunque, si determinerà una selezione con chiusure e/o aggregazioni e per garantire per alcune categorie lavorative dei salvagente seppure insufficienti allo scopo di attenuazione di una possibile conflittualità sociale. Per capire quale strada Draghi intenda percorrere con queste affermazioni basti capire che nemmeno proposte riformiste come quelle espresse dall’ex presidente dell’INPS rientreranno nei prossimi obiettivi di piano; la spesa pubblica, ad esempio, rimarrà ancorata alla logica neoliberista dominante, con sostegni sociali limitati e comunque sempre secondo principi di workfare e con investimenti mirati nei confronti del potenziamento dei servizi – compresi quelli sanitari – secondo saldi capisaldi privatistici.[10]

L’interesse verso le imprese capaci di innovazione tecnologica e quindi in grado di sostenere la competizione di mercato su scala internazionale, affiancato alla volontà di avviare la transizione digitale al servizio dell’innovazione e per una maggiore efficienza dei servizi, soprattutto nell’ambito dell’amministrazione pubblica, rappresenteranno un caposaldo del piano affidato a Draghi, con specifiche risorse e canali normativi adeguati a questi obiettivi. Con conseguenti dislocazioni in avanti del comando capitalistico sulla forza lavoro privata e pubblica (pensiamo solo al ruolo giocato dalle tecnologie digitali, alla cui implementazione non a caso viene dedicato un Ministero specifico, nel controllo e nella intensificazione dei tempi e ritmi di lavoro, nel controllo sociale e nella razionalizzazione della produzione, nonchè nella estensione del lavoro gratuito per l’estrazione di dati il cui impiego fornisce profitti ingenti, ancora controllo e condizionamento sociale). L’accento messo sulla necessaria semplificazione amministrativa (un reale problema del funzionamento della nostra amministrazione pubblica) presuppone modifiche che riguarderanno l’organizzazione del lavoro in questo settore, la precarizzazione di alcune funzioni, l’ulteriore estensione dell’esternalizzazione di altre, la stratificazione di funzioni e delle posizioni stipendiali.[11] Si pensi al ruolo, ad esempio, che giocherà nel prossimo futuro (lo sta già facendo adesso) l’estensione del lavoro in smart working sia nel settore pubblico che in quello privato, produttivo, finanziario e bancario:[12] dilatazione e aumento del tempo di lavoro sia diretto che indiretto,[13] maggiore sfruttamento e evidenti benefici in termini di produttività e profitti per le imprese, le aziende, le banche o le amministrazioni pubbliche senza costi aggiuntivi stipendiali, approfondimento dei processi di isolamento del lavoratore di fronte al comando gerarchico e interruzione o difficoltà relazionale con colleghi di lavoro che farà da ostacolo a forme di  autorganizzazione e rivendicazione sindacale. Un terreno questo dello smart working non a caso citato in positivo dallo stesso Draghi e persino dal neo ministro Brunetta, non solo per i risvolti di sicurezza che in periodo di pandemia consente la minore mobilità lavorativa sul territorio, bensì proprio per i benefici che l’impresa o l’amministrazione ricavano da una organizzazione del lavoro dove solo frazioni ridotte di personale si trovano in presenza mentre una parte rimane semplicemente e individualmente collegata in rete.

  • 3. Viva le competenze tecniche

Questi passaggi, sia nel settore privato che in quello pubblico, non avverranno in assenza di costi sociali dolorosi in termini di occupazione, precarizzazione e di maggiore differenziazione salariale. Inoltre non potranno darsi senza una ulteriore subordinazione dei programmi scolastici di addestramento delle competenze necessarie per il personale che dovrà svolgere questi compiti. L’accenno sempre nel discorso di Draghi alla scuola e alla necessità di rivalorizzare gli istituti tecnici come luoghi di formazione e selezione delle competenze utili a questi bisogni imprenditoriali che, indirettamente, produce un ulteriore processo di marginalizzazione delle competenze umanistiche, ormai in corso da anni, presuppone un ulteriore passaggio vincolante per l’istituzione scolastica superiore alle esigenze e ai dettami dell’impresa e del mercato.[14]

Addestramento di competenze professionali specifiche da un lato e marginalizzazione degli indirizzi meno utili alla cultura dell’impresa dovranno essere messi al servizio di una struttura produttiva che punta sullo sviluppo e sul potenziamento delle filiere produttive tecnologicamente avanzate e innovative. Personale competente, addestrato, motivato culturalmente e meglio retribuito (anche attraverso benefit e servizi – pensiamo solo ai fondi assicurativi per i lavoratori e alla sanità differita) il cui progressivo accesso in questo tipo di impieghi accelererà, di contro, la formazione di una massa sempre maggiore di lavoro precario e servile, questa volta, è bene ribadirlo, anche e soprattutto nazionale, in più settori e in competizione o sostituzione di lavoratori immigrati e stranieri, nei servizi, in agricoltura, in alcuni ruoli della logistica, nei trasporti, nel servizio di cura, nei lavori manuali di più bassa qualificazione professionale e a scarso contenuto tecnologico. Senza che vengano meno i benefici derivati da lavoro nero, sommerso e soggetto a forme diverse di caporalato. Saranno sempre più frequenti filiere produttive dove alte qualificazioni professionali verranno coadiuvata e conviveranno, seppur nettamente separate anche in termini fisici, con una molteplicità di lavoratori manuali a basso salario e a condizioni semi e a volte del tutto servili. Nella logistica, nelle catene della grande distribuzione di merci di consumo di massa, nell’agricoltura, nelle filiere turistiche, nelle attività legate alle piattaforme digitali, nelle imprese ricche di innovazione tecnologica ma anche nella sanità, nei servizi di pulizia, di ristorazione e di funzioni infermieristiche non direttamente legate al lavoro in reparto, questo scenario, già presente, sarà sempre più evidente e nel breve-medio periodo, a causa della asimmetria degli effetti della pandemia, ancor più differenziato nei singoli settori e nella società.

  • 4. La transizione ecologica neoliberista

Insieme alla transizione digitale e agli investimenti a favore delle imprese a tecnologia innovativa l’altro punto centrale del programma di Draghi per il rilancio del Paese è l’obiettivo della transizione ecologica. Ciò non rappresenta una sua improvvisa conversione ecologista – lasciamo alle battute di Grillo l’idea di un Draghi ambientalista, grillino più dei grillini stessi – ma si inscrive perfettamente nella medesima cornice neoliberista della transizione digitale e dello sviluppo delle imprese a tecnologia e contenuto innovativo e ne completa l’agenda degli obiettivi strategici, primari, di medio e lungo periodo. Anche in questo caso lo scopo principale è quello di mettere il Paese al passo con la transizione ecologia promossa dall’Unione Europea negli Stati membri. Una politica ambientale negli intenti di Draghi forse più illuminata o solo più pragmatica rispetto alla semplice e brutale logica predatoria e estrattiva capitalistica incarnata in questi anni dal sovranismo trumpiano e dai suoi epigoni che rimane l’altra faccia, quella brutale, del funzionamento del neoliberismo.

Le competenze sostanzialmente economicistiche del gruppo di ministri cosiddetti “tecnici”, cioè il pacchetto di nomine direttamente legate a Draghi, garantiscono una conduzione della transizione ecologica dentro il perimetro di una riconversione green all’insegna dell’estrazione del profitto; non c’è alcun approccio che possa far pensare anche solo all’abbozzo di azioni volte a praticare un salto di paradigma sistemico e culturale come invece la condizione infetta del pianeta auspicherebbe. Bastano le prime esternazioni del neo ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani per capire su che piano si collocherà e di che natura sarà questo processo di revisione delle politiche ambientali.[15] Compatibile con le esigenze del sistema capitalistico e delle logiche neoliberiste che lo guidano.

La privatizzazione di servizi che gestiscono risorse naturali, la loro finanziarizzazione, entrambe già in corso, non troveranno nel piano di Draghi un freno o una revisione ma incentivi e politiche amiche. Le azioni di tutela virtuosa secondo la logica capitalistica di risorse come, ad esempio, l’acqua, fatte di protezione della risorsa, di investimenti strutturali impiantistici, di redditività della gestione privatistica delle aziende sia private che pubbliche e persino la profittabilità speculativa finanziaria sulla fluttuazione dei prezzi di vendita della risorsa che scommette sulla sua scarsità, non saranno alterate in alcun modo da questa “transizione ecologia”.[16]

Se negli Stati Uniti l’indicizzazione in borsa della risorsa acqua è dato di fatto consolidato, in Italia il passaggio è molto vicino e oggetto di accese discussioni che coinvolgono multiutility pubbliche e private, istituzioni locali, banche e fondi di investimento. Ve lo vedete Draghi mettersi di traverso innalzando la bandiera della difesa dei beni comuni? Forse promuoverà politiche di tutela della risorsa e bonifiche dove necessario ma questo non intaccherà la rapacità delle società di gestione alla sua proprietà e alla profittabilità. Questa transizione ecologica non fermerà il consumo del suolo e la filosofia produttivistica della salvaguardia delle risorse naturali; non può venire nulla di buono da un Ministero del Turismo in mano alla Lega Nord in termini di salvaguardia delle coste, sostenibilità delle città d’arte e delle aree di pregio artistico, storico e ambientale. Ma anche di riconsiderazione del traffico aereo e marittimo e del loro impatto inquinante. Per di più quando ad affiancarlo sarà un altro ministro leghista, Giancarlo Giorgetti, installatosi al Ministero dello sviluppo economico, entrambi sviluppisti e legati all’imprenditorialità del nord del Paese, in particolare del settore edilizio e impegnata nelle “grandi opere”, che ha dato in questi anni pessimo esempio di sè per attenzione alla tutela dell’ambiente.[17] Il Ministero dedicato alla transizione ecologica, grazie alla partecipazione o meglio al sostegno degli investimenti pubblici (fondi dedicati, incentivi ecc.) favorirà probabilmente la creazione di un pacchetto di imprese a contenuto tecnologico innovativo green – il settore energetico e al suo interno lo sviluppo delle energie rinnovabili e il loro diverso impiego ne sono un esempio in itinere – in grado di competere in termini di ricerca, produzione e commercializzazione a livello internazionale. Ma senza illudersi che l’innovazione sulle fonti energetiche alternative escano dalla logica del profitto che presiede l’orientamento assunto in tal senso dai grandi gruppi produttori e gestori dell’energia.[18] Forse aver messo l’accento sulla questione ambientale produrrà contenimenti parziali degli effetti più pesanti dell’inquinamento – pensiamo a quello atmosferico attorno alle città del centro-nord ormai a livelli altissimi – con azioni volte a mitigare le cause ma sempre in un quadro di compatibilità con il rilancio del sistema produttivo. Nessun ripensamento radicale si può pensare sia alle porte per fermare il proliferare di allevamenti animali intensivi o l’inquinamento dei suoli agricoli; forse solo la presenza di filiere agroalimentari d’eccellenza quale bacino di punta di questo settore anche in termini di profitti, potrà stoppare il proliferare in Italia di produzioni ogm[19] ma certo non fermerà l’uso massiccio di concimi chimici con le sue conseguenze in vaste aree agricole del Paese e la tendenza ad affermarsi anche da noi in alcune filiere di produzioni intensive e monocolturali; nè vedremo il varo di una legislazione rigorosa di tutela dalle emissioni tossiche industriali – è di questi mesi la decisione della Giunta regionale lombarda, definita svolta green per i cementifici operanti in quella regione, di facilitare l’introduzione nel loro ciclo produttivo del combustibile solido secondario (Css), sostanzialmente materiale derivato dalla componente secca dei rifiuti non pericolosi urbani e speciali, in sostituzione del combustibile da coke e rifiuto[20] – o per altre fonti di inquinamento. Sostegni e interventi a favore di filiere produttivie altamente nocive non cesseranno certo con questa transizione ecologica anche  per quei palesi impianti obsoleti e pericolosi operanti in territori gravati da conseguente mortalità acclarata ma ancora in grado di produrre ingenti profitti e con un alto numero di occupati e quindi capaci di far pesare a proprio favore il ricatto sociale (il caso Ilva ci insegna in questo senso). Un cambio di passo radicale in questo senso non è alle porte. Non lo è neanche nel settore energetico dove a fianco dell’innovazione legata alle fonti rinnovabili che il piano di Draghi probabilmente favorirà in termini di prospettiva, convive e viene sostenuta ancora la ricerca e l’approvvigionamento di fondi fossili e gli investimenti conseguenti. E anche la transizione ecologica non sarà indolore in termini di perdita di posti di lavoro, di precarizzazione, di marginalizzazione di larghe fette di forza-lavoro.

  • 5. La partita rimane aperta con segnali di speranza

Questa coalizione parlamentare è incollata con lo sputo al governo Draghi, aldilà della retorica ‘del bene del paese’ di pragmatica, siamo in uno stato permanente di conflitto elettorale che potrebbe far naufragare anche il nuovo governo. Staremo a vedere ma ciò non toglie che l’arrivo di Draghi incarni linee di tendenza sopra dette e, vista la situazione di crisi sanitaria, economica e sociale determinata dal persistere della pandemia, la profondità del debito pubblico già esistente e la necessità di mantenere aperto il flusso in entrata dei fondi europei, difficilmente potrà essere scalzato a breve, prima che non abbia impostato e avviato il piano che l’Europa si aspetta.

Rimane aperto, però, il come contrastare questo disegno. Segnali positivi seppure limitati, parziali si segnalano un po’ ovunque: le mobilitazioni per l’ambiente dei mesi scorsi in occidente e in Europa in particolare che hanno avuto negli Stati del nord dell’Unione Europea anche un riscontro istituzionale nelle affermazioni delle compagini elettorali verdi; la mobilitazione per la difesa delle risorse naturali e per l’armonia con la natura delle popolazione indigene nel continente latinoamericano, il grande sciopero di massa contadino in corso in India per guardare fuori dal nostro Paese o la mobilitazione autorganizzata dei lavoratori dello spettacolo e la conflittualità diffusa nel settore logistico per fare due esempi riguardanti l’Italia. Poco ancora ma che fa ben sperare!

Paolo De Marchi

01/03/2021


[1] Mi riferisco alle dichiarazioni e agli intenti espressi in più occasioni da Conte, come nella vicenda del salvataggio della Banca Popolare di Bari e in quelle relative al salvataggio di Alitalia, sulla questione delle concessioni autostradali con il tentativo, sostenuto soprattutto dal M5s, di esautorare gli attuali concessionari o imporre rappresentanti dello Stato nei loro CdA e, infine, nel pur discutibile, confuso intervento statale nella vicenda Ilva di Taranto o in altre rilevanti crisi industriali che hanno coinvolto il disimpegno di gruppi multinazionali nel nostro Paese. Intenti che in parte sembrava dovessero innervare anche lo stesso Recovery plain attraverso una distribuzione dei fondi improntati a una qualche logica redistributiva avversata duramente nei mesi scorsi proprio da Confindustria e dai maggiori gruppi editoriali italiani.

[2] Si veda su questo Marco Bersani “Torna l’austerità espansiva”, Il Manifesto 27/02/2021 che argomenta la preponderanza di uomini della finanza e dell’economia neoliberista nel nuovo Governo sottolineando l’arrivo al fianco di Draghi come suo consigliere economico di Francesco Giavazzi, esponente di punta – scrive – dei ”Bocconi boys”, economisti che hanno ispirato in questi anni le politiche monetariste europee con il mantra del taglio della spesa pubblica quale motore della crescita.

[3] La crisi determinata dalla pandemia da covid-19 è stata innanzitutto sanitaria e conseguentemente economica e sociale ma ha avuto effetti asimetrici. Non è stata affatto uguale per tutti. Sul piano sanitario, ad esempio, se nell’occidente capitalistico l’impostazione neoliberista imposta da decenni ai diversi sistemi sanitari nazionali è stata la causa principale del suo iniziale collasso e della mortalità verificatasi nei reparti e nelle case di cura e riposo per anziani, la garanzia in un secondo momento di cure, di strutture e strumentazioni adeguate, di farmaci e ora di vaccini è stata più massiccia e maggiormente sostenuta rispetto ai Paesi poveri del mondo.  L’asimmetria degli effetti della crisi si è, però, percepita più chiaramente, sul piano economico: non tutti i settori e le filiere produttive e distributive sono entrate in crisi. Alcuni settori hanno accumulato profitti ingenti da questa crisi: si pensi, solo per fare qualche esempio, al settore della logistica, alla distribuzione agroalimentare, al settore farmaceutico e ai settori innovativi legati alle piattaforme informatiche e a tutta la produzione ad esse legata. Dove l’asimmetria è stata meno evidente o del tutto assente è stato sul piano degli effetti della crisi pandemica nei confronti dei lavoratori che hanno subito omogeneamente un peggioramento delle condizioni di vita, di lavoro, di sicurezza, di relazioni e di diritti: intere categorie comandate al lavoro in condizioni di sicurezza precaria (si vedano i dati INAIL sulle malattie da Covid e sulle categorie di lavoratori maggiormente colpiti nel contributo “Covid. Un anno vissuto pericolosamente” a cura di ADL-cobas e postato in  https://adlcobas.it/sociale/covid-un-anno-vissuto-pericolosamente/ ) mentre altre sono state lasciate sostanzialmente alla deriva, come i casi delle partite IVA o, peggio, dei lavoratori/trici daello spettacolo e della fruizione culturale. Inoltre è decisamente aumentata la differenziazione salariale e stipendiale e la precarizzazione di fette sempre maggiori di forza-lavoro e allargata ulteriormente l’area della povertà a fette di popolazione comunque attiva nel mondo del lavoro (si veda una sintesi dei dati in  https://eudfoundation.it/poverta-in-italia-nel-2020-cosa-e-cambiato/ ).

[4] In questo tentativo di spiegare il motivo di fondo dell’arrivo di Draghi al governo, non c’è alcun intento di riferirlo a una fantomatica scelta determinata da un immaginario comando superiore mondiale del Capitale; nessuna concessione a tesi complottiste care a ideologici fronti anticapitalistici, bensì il tentativo di evidenziare come, ancora una volta, di fronte alla crisi, l’insieme dei poteri e degli interessi capitalistici nazionali e internazionali – non una sorta di spectre internazionale – stiano tracciando le linee di un salto in avanti dell’accumulazione e del comando sulla forza-lavoro e le classi che, per quanto riguarda l’Italia, vengono demandate, per la parte che compete allo Stato, ad uno dei più autorevoli esponenti del management economico-finanziario e monetario internazionale.

[5] Il regolamento del Recovery Resilience Facility o Dispositivo di Ripresa e Resilienza definisce obiettivi, finanziamento e regole di accesso del più importante strumento del pacchetto Next Generation EU, dotato di risorse pari a 672,5 miliardi di euro su un totale di 750 miliardi di dotazione complessiva messa a disposizione. Di questi 672,2 miliardi, 360 verranno erogati in forma di prestiti e 312,5 in forma di sovvenzioni. Il regolamento contiene delle stringenti condizionalità come quelle previste dall’art.10 relative a possibili interruzioni dell’erogazione dei fondi in caso di disavanzo eccessivo o di squilibri eccessivi. Parametri di riferimento rimangono quelli relativi al Patto di Stabilità e Crescita – 60% debito /PIL e 3% deficit – e chi non rientra in essi deve adottare un piano realistico per conseguirli. A decidere se gli atti decisi dai Governi sono coerenti con quanto disposto dal regolamento è deputata la Commissione UE in quanto proprio il comma 3 dell’art.10 dispone che la proposta di sospensione dell’erogazione dei fondi spetti alla stessa, ritenendo questa decisione adottata dal Consiglio a meno che lo stesso non decida di respingere la proposta a maggioranza qualificata, con un atto di esecuzione. In pratica una ipotetica opposizione alla decisione della Commissione di una larga maggioranza di Stati che sembra poco credibile si possa verificare. Perciò i fondi del Dispositivo il cui flusso verso gli Stati avverrà a rate potrà essere interrotto sia nel caso di attuazione non conforme dei piani nazionali – cioè quello che verrà scritto e deciso nel Recovery Plan di ogni Stato – sia nel caso l’orientamento complessivo della finanza pubblica non coincida con le prescrizioni della Commissione. “Un pò come se un debitore firmasse un contratto che concede al creditore il diritto non solo di controllare cosa fa con i soldi prestati ma anche con tutte le sue entrate […] e di porre in atto azioni coercitive se non ne sia soddisfatto”  (Matteo Bortolon “Il recovery ora mostra i denti”, Il Manifesto, 13/02/2021). La governance del nuovo Presidente del Consiglio Mario Draghi risulta perciò strategica per il potere economico e finanziario italiano per garantire la fissazione di obiettivi coerenti con quanto fissato dalla UE – transizione verde e digitale e loro impatto duraturo sul sistema-Paese – e per godere anche di un occhio di riguardo in sede europea. Ovviamente se il piano verrà rispettato nelle sue linee guida anche dai Governi che gli succederanno.

[6] La pandemia non rispetta i propositi e i tempi per la ripresa dei governi continuando ad imperversare proprio nelle aree geografiche dove maggiore è stato l’impatto inquinante sul pianeta. La cartina planetaria dell’inquinamento, se sovrapposta a quella della persistenza della pandemia, dimostra come le medesime aree geografiche siano quelle più colpite dal virus e le più infette. La seconda ondata pandemica a differenza della prima ha colpito soprattutto nell’occidente industrializzato e la recrudescenza della probabile terza ondata, determinata dal replicarsi delle varianti del virus – più contagiose della prima versione del covid-19 – e dalla difficoltà di produzione dei vacini sufficienti (non solo per l’intera popolazione mondiale ma in particolare per quella degli Stati ricchi dell’occidente), che, probabilmente, continuerà a colpire ancora in questo versante geografico, dimostra come si sia in presenza di un salto di paradigma che squilibra i piani di ripresa dell’accumulazione e del comando capitalistico. E gli effetti asimmetrici della pandemia sono destinati ad aumentare l’approfondirsi degli squilibri in termini di profitti tra settori produttivi e distributivi, in termini di differenziazione della condizione di reddito tra categorie di lavoratori, di aumento dei rischi sanitari per alcuni e precarizzazione ulteriore per una fetta sempre più estesa di popolazione. Tutto ciò a prescindere, almeno nel breve-medio periodo, dai piani di ripresa nazionali. Si veda a tale proposito la global map stilata dalla John Hopkins University e Medicine sulla situazione mondiale dell’estensione della pandemia da covid-19 in https://coronavirus.jhu.edu/map.html .

[7] Si veda per un approfondimento di questa prospettiva Donna Haraway “Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto”, Nero edizioni 2019, auspicando l’apertura di un dibattito più ampio e approfondito sulle sue tesi e sulle possibili applicazioni pratiche in termini di esperienze di lotte e non solo.

[8] In questa prospettiva si inscrive la discussione in corso in una parte dei distretti produttivi, specie del nord-est del Paese, tra Associazioni industriali, Camera di Commercio e enti locali e provinciali sugli investimenti futuri in aziende a alto contenuto tecnologico per compensare e limitare il processo di occupazione di spazi della logistica e della grande distribuzione, spesso avvenuto o previsto attraverso investimenti di capitali di provenienza extraeuropea.

[9] Ovviamente questo non significa che cesseranno i finanziamenti a settori come quello automobilistico o ad altri simili che per altro hanno già cominciato a chiedere incentivi e altri sostegni finanziari. Ma certo vi sarà un maggior interesse per quanto riguarda gli investimenti finalizzati all’innovazione come, sempre per rimanere all’esempio del settore automobilistico, quelli sulla ricerca, produzione e implementazione di modelli più ecocompatibili come quelli elettrici.

[10] Si veda Tito Boeri e Roberto Perotti “Donne e giovani rischiano la povertà. Sussidi da riformare”, La Repubblica, 27/02/2021 dove per arginare i processi di impoverimento in atto nel nostro Paese che hanno colpito in reddito di molte famiglie, la condizione dei lavoratori a tempo determinato, i giovani e le donne nel mondo del lavoro, propongono alcuni obiettivi relativi alla modifica dei meccanismi di erogazione dei sussidi di disoccupazione e della cassa integrazione e della sua estensione, all’introduzione di un reddito di cittadinanza e l’introduzione di ammortizzatori sociali per il lavoro autonomo. La critica dei due autori si concentra, invano, sull’assenza di questo tipo di proposte nel dibattito attuale sul Recovery plan. Tali proposte risultano poco compatibili con le linee di indirizzo del discorso di investitura di Draghi e assolutamente incompatibili con le biografie dei Ministri tecnici e di quelli politici a capo dei dicasteri economici e produttivi e non basterà chiamare al Ministero del Lavoro stimate studiose sociali come Chiara Saraceno perchè vi sia un cambio di passo anche solo riformista in tal senso.

[11] Anche qui si noti chi è stato demandato a guidare il Ministero della Pubblica Amministrazione, il forzista Renato Brunetta che ha dato nel passato ottima prova di sè in questo ruolo, anche se oggi subordinato ad altri dicasteri che guideranno – in termini di obiettivi e di destinazione di investimenti – la semplificazione amministrativa e le sue conseguenze sull’organizzazione del lavoro nel servizio pubblico, come appunto il Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, un super manager bocconiano di esperienza internazionale delle telecomunicazioni come Vittorio Colao. Non sfugga per altro che Colao non godette di molta simpatia e condivisione da parte dell’ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte per capire anche altri risvolti della defenestrazione di quest’ultimo. A Brunetta, probabilmente, spetterà in questo quadro il ruolo di mastino “fustiga impiegati” che tanto gli piace e dove si è già distinto.

[12] Secondo i dati del Rapporto sul mercato del lavoro 2020 di Istat, Ministero del Lavoro, Inps, Inail e Anpal nel secondo semestre dell’anno 4 milioni di lavoratori hanno lavorato in smart working (19,4% rispetto al 4,6% del 2019).

[13] Per lavoro diretto in questo contesto intendo quello svolto in smart working; viceversa per lavoro indiretto intendo quelle attività collaterali svolte durante le pause o in continuità temporale con il lavoro in rete all’interno dell’economia domestica, di parentela o di vicinato. Un esempio chiaro è quello del lavoro di cura quasi esclusivamente svolto dalle donne. Infatti a subire le conseguenze in termini di aumento dei tempi di lavoro su quelli di riposo nel lavoro in smart working è soprattutto la forza-lavoro femminile che una volta posta in questa modalità lavorativa si trova ben presto a ridurre ulteriormente le proprie pause di vita (tempo libero) a beneficio di una sostanziale continuità lavorativa tra quella retribuita e quella di cura, lavoro questo non riconosciuto e gratuito, che già gravava quasi completamente sulle sue spalle nelle precedenti condizioni di lavoro.

[14] Si muovono in questa ottica le esperienze di alternanza scuola-lavoro sia svolte in forma di stage in aziende e imprese sotto la formula di formazione professionale ma sostanzialmente lavoro gratuito, che quelle svolte all’interno degli istituti, quasi sempre formulate in corsi o conferenze formative relative alla cultura dell’impresa e dell’imprenditorialità personale la cui offerta è sempre più ampia e invasiva (gli studenti dovrebbero aspirare tutti ad essere start-upper mentre la realtà è ben diversa e questo condizionamento culturale sottende sostanzialmente subordinazione alla logica del profitto capitalistica). In questo senso si orienta anche la lenta “riconversione dei percorsi di istruzione professionale” riguardante sia gli ex istituto tecnici che quelli professionali, che vede l’imporsi preponderante delle ore laboratoriali professionalizzanti rispetto allo studio teorico e astratto, nonchè la riduzione ulteriore delle ore di materie umanistiche o dei programmi teorici delle materie scientifiche nei bienni. Ma è tutta la scuola superiore già da tempo orientata con progetti, corsi, conferenze alla subordinazione alla cultura dell’impresa e dell’imprenditorialità che dovrà subire, secondo quanto accennato nel passaggio di Draghi sulla valorizzazione degli istituti tecnici, una ulteriore accelerazione e razionalizzazione in tal senso in continuità con gli indirizzi delle tante nefaste “riforme” subite dalla scuola a partire dalla lontana riforma Berlinguer.

[15] Il Ministero che è stato chiamato a guidare il fisico e fondatore dell’ITT di Genova, Roberto Cingolani, denominato suggestivamente e indicativamente MITE, dovrà secondo le sue parole “affrontare la crisi climatica e ambientale con mitezza e senza posizioni ideologiche dannose per i nostri figli e nipoti”. In questo quadro una organizzazione come Greenpeace risulta quasi una pericolosa compagine sovversiva; pensiamo poi cosa possano rappresentare per Cingolani comitati e associazioni che da anni si battono in Italia contro metanodotti, fabbriche inquinanti, discariche tossiche abusive, inquinamento delle falde acquifere ecc.. Probabilmente portatori di “posizioni ideologiche per i nostri figli e nipoti”.

[16] Esplicativo di questa visione del patrimonio acquifero è quanto sta avvenendo in California, Stato ritenuto all’avanguardia nella legislazione ambientale e, allo stesso tempo, luogo in cui la scarsità di risorse idriche, combinate con gli effetti desertificanti determinati dalle modifiche climatiche, fanno dell’acqua un bene comune preziosissimo che andrebbe tutelato e salvaguardato come bene pubblico qual’è. Il costo dell’acqua per irrigazioni ha avuto, invece, in California una notevole impennata nel mercato libero determinando una inflazione di costi che ha attirato l’interesse di Wall street. Da quest’anno, infatti, l’acqua è quotata in borsa con la sigla NQH2O. Scrive in un interessante reportage Luca Celada che il prezzo di questo bene prezioso e non rinnovabile, stabilito sui 500 dollari per acre food (12.000 ettolitri) è stato quotato sull’indice Nasdag; riporta in proposito l’opinione di Matthew Diserio, presidente di un fondo di investimenti specializzato – la Water Asset Management – che ritiene l’indicizzazione dell’acqua in borsa “un’opportunità da un trilione di dollari”. L’acqua quotata in borsa diventa un bene di investimento finanziario su cui poter speculare, in ragione della sua disponibilità o meno in periodi di siccità, scomettendo come si fa normalmente con altri derivati. Sempre Diserio ritiene quello dell’acqua “il maggiore mercato emergente al mondo” che consente di comperare una fornitura d’acqua a sei mesi dal suo effettivo acquisto a un determinato prezzo per ettolitro, puntando su possibili future siccità che ne facciano alzare il valore, consentendo di rivendere il quantitativo d’acqua in possesso a un costo doppio o triplo. La realizzazione di questi acquisti determina un altro guasto ambientale: essendo necessario acquistare terreni agricoli per avere diritto all’acquisto di quote di acqua,in vari Stati oltre alla California, come Colorado e Arizona, fondi, aziende e banche si sono lanciate in questo business con il solo proposito di speculare sull’indicizzazione in borsa, lasciando nel frattempo inaridire i suoli. Una perfetta immagine della transizione ecologica neoliberista. Su ciò si veda Luca Celata “Una questione di liquido”, Alias, supplemento del sabato del Il Manifesto, 13/02/2021.

[17] E’ di questi giorni la notizia che pur in presenza della pandemia il settore edilizio è ripartito ingolosito dai superbonus e da ciò che il Recovery fund promette in termini di finanziamento al punto che l’Anci stima peril 2021-22 un aumento dell’8% degli appalti pubblici e del 17% dell’edilizia privata. Un settore questo dove il lavoro nero, precario e irregolare la fa da padrone, soggetto per altro a una profonda penetrazione di capitale criminale. Un caposaldo del rilancio del Paese: ancora il mattone e il consumo del territorio, la speculazione e la corruzione collegata, il rapporto guasto tra cantieri e smaltimento illegale di rifiuti tossici e pericolosi. E gli effetti si vedono già in termini di infortuni sul lavoro – nei primi 2 mesi del 2021 sono aumentati del 150% – e di aumento del lavoro irregolare – sempre nei primi 2 mesi del 2021 nel 33% deegli infortuni la quota di lavoratori irregolari è stata del 25% con una presenza significativa per altro di lavoratori over 60 (43%) e in alcuni casi persino over 70. 

[18] Si veda quanto scritto da Luciana Castellina in“Gli extraparlamentari del bar di Guerre Stellari”, Il Manifesto,28/02/2021 dove riporta il contenuto di un documento dell’ENI nel quale l’amministratore delegato Claudio Descalzi nel dettagliare il Piano energetico 2020-2024 in vista dell’obiettivo della totale decarbonizzazione per il 2050, garantisce agli azionisti profitti azionari in aumento dell’8% con il mantenimento della produzione del petrolio (14 grandi progetti che garantiscono un aumento del 70%) e la veicolazione dell’energia via gas e idrogeno verde e blu.

[19] La ex Ministra Bellanova aveva tentato di aprire subdolamente la strada agli ogm e non è affatto sicuro che non vi saranno altri tentativi utilizzando rassicurazioni scientifiche “amiche” sulla riduzione dei rischi con  nuove tipologie di sementi ogm.

[20] Si veda sulla decisione della Giunta lombarda: https://www.snpambiente.it/2021/02/24/aia-svolta-green-per-i-cementifici-lombardi/

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