Non dimentichiamo le donne afghane.

Le donne afghane chiedono di dare loro voce. Di ascoltarle perché il regime dei talebani non le renda ancora invisibili. In Afghanistan le donne sono, di nuovo, oggetto accessorio, proprietà maschile. I talebani non sono cambiati. La loro amministrazione non va riconosciuta se non riconoscono veramente i diritti delle donne, i diritti umani, cessano le torture, garantiscono a tutte l’istruzione. A cura di Donne in Eko Park

Un po’ di storia…

In Afghanistan, la popolazione è dilaniata dalla guerra da oltre 40 anni.

Gli ultimi vent’anni di occupazione militare da parte delle forze alleate della Nato (2001 – 2021), hanno prodotto centinaia di migliaia di vittime dirette e indirette: scontri a fuoco e bombardamenti, fame, mancanza di acqua e di infrastrutture necessarie alla sopravvivenza della popolazione.

La proliferazione della coltivazione e del commercio dell’oppio, sempre tollerata dalle forze di occupazione Nato, ha portato a un maggiore impoverimento della popolazione a causa della riconversione forzata delle coltivazioni, della trasformazione dei contadini proprietari di terreni in manodopera sfruttata e costretta a lavorare sotto minaccia, della tossicodipendenza diffusa.

Tale mercato è prioritariamente in mano ai talebani, oggi al potere con il loro Emirato Islamico, che sono i narco – trafficanti più potenti al mondo capaci di controllare il 90% della produzione mondiale di oppio, la cui vendita alla criminalità internazionale assicura un approvvigionamento costante di armi e munizioni.

È dagli anni ’80 che gli Stati Uniti agiscono anche nel conflitto afghano, attraverso una serie di potenze regionali: in primo luogo, Pakistan e Arabia Saudita. Il loro obiettivo era, ed è ancora, quello di esercitare la loro influenza nell’area contendendola, per ragioni geo – strategiche a Cina, Iran e Russia.

Hanno attuato i loro obiettivi finanziando e sostenendo in vari modi formazioni che fanno riferimento all’area del fondamentalismo islamico, mentre dichiaravano di voler abbattere il terrorismo internazionale e supportare l’avvio di un processo democratico con al centro il miglioramento della condizione della donna.

Da non sottovalutare inoltre è la presenza sul territorio afghano dell’ISIS – Khorasan, una fazione del movimento islamista fondamentalista Stato Islamico, con l’ambizione di portare avanti la jihad a livello mondiale.

L’Europa, sempre più debole e disunita politicamente, ha continuato a identificarsi negli interessi degli Stati Uniti, senza nessuna volontà di mettere a fuoco obiettivi di politica estera rispondenti alla sua collocazione geostrategica e ai valori di democrazia, laicità e rispetto dei diritti umani di cui dichiara di essere custode. In questo modo, di fatto, rinforza il traffico di armi, droghe ed esseri umani, il finanziamento di formazioni integraliste islamiche e gruppi terroristici, lo sfruttamento indiscriminato delle risorse e la militarizzazione delle frontiere per il contenimento delle persone in fuga dai conflitti.

Il flusso delle migrazioni forzate dall’Afghanistan all’Europa è andato di conseguenza crescendo dopo una prima fase in cui la gran parte dei fuggiaschi si erano rifugiati nei paesi limitrofi: le aree dei campi profughi del Pakistan rappresentano ancora un pericoloso terreno di coltura delle stesse formazioni fondamentaliste addestrate e tollerate dai servizi segreti pakistani in accordo con gli Usa.

Da oltre quarant’anni in Afghanistan, vi sono forze laiche e progressiste, spesso guidate da donne, che svolgono un lavoro politico capillare nonostante le occupazioni militari straniere, gli oscuri periodi di guerra civile e di dominio da parte dei signori della guerra e dei fondamentalisti.

Tali forze democratiche stanno esprimendo la loro ferma volontà di continuare nella loro lotta di Resistenza anche durante il durissimo regime talebano dell’Emirato Islamico.

Il regime talebano dell’Emirato Islamico sta cercando di rendere le donne di nuovo invisibili.

Il nuovo regime ha chiuso il ministero degli Affari femminili, una specie di ministero per le Pari opportunità, istituito nel 2001, ha imposto che le donne non possano studiare o lavorare dopo i 12 anni, l’età a cui si accede alle scuole secondarie in Afghanistan comunque in classi separate per sesso, e senza scuola secondaria non ci si può iscrivere all’università; ha stabilito che le donne non possano praticare sport; ha proibito alle reti televisive afghane di trasmettere programmi e telenovele in cui appaiono donne, e alle donne di recitare nei programmi televisivi afghani; ha anche provveduto a coprire, imbrattare e cancellare con la vernice nera le molte immagini di donne presenti nelle pubblicità o fuori dai saloni di bellezza di alcune città afghane.

Recentemente, il 25 dicembre, il ministero per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio (il nome del ministero è già di per sé tutto un programma…) ha sancito che le donne non potranno più percorrere distanze maggiori di 72 chilometri senza un accompagnatore maschio (un maharram cioè un maschio guardiano).

Le proteste contro il nuovo regime talebano, a cui hanno partecipato moltissime donne, sono cominciate già nei primi giorni dopo la conquista di Kabul.

Le donne afghane hanno continuato a protestare: “Non ho paura”, ha detto una di loro a BBC, “continuerò a protestare ancora, ancora e ancora, fino alla morte: meglio morire all’improvviso che farlo gradualmente”.

Le proteste sono state così significative che, non riuscendo più a gestirle, i talebani le hanno poi vietate.

L’impegno delle femministe afghane

Dagli anni Settanta in Afghanistan esiste un gruppo autorganizzato impegnato nella lotta per i diritti delle donne, per la loro autodeterminazione e quella del loro paese: si chiama RAWA, Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane, e da sempre lavora in clandestinità (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan, http://www.rawa.org/index.php ). Da quarant’anni RAWA – che ai progetti concreti di sostegno e aiuto affianca un intenso lavoro politico – racconta la condizione delle donne afghane, al di là della narrazione retorica, paternalistica o strumentale spesso dominante nel dibattito occidentale.

“La loro attività”, racconta Laura Quagliuolo del CISDA, il Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane che da anni lavora e sostiene RAWA, “non è mai stata gradita a nessuno: hanno dovuto proteggersi sempre, anche negli ultimi vent’anni di occupazione statunitense e di presunta democrazia”.

In Italia, sin dal 1999, RAWA è sostenuta dal CISDA https://www.cisda.it/

Le finalità del CISDA si collocano nell’ambito della solidarietà sociale, della formazione, della promozione della cultura, della tutela dei diritti civili e dei diritti delle donne in Italia ed all’estero.

Recentemente il CISDA ha deciso di rispondere all’appello delle forze laiche e democratiche afghane e di intraprendere uno sforzo straordinario per portare un sostegno concreto alla popolazione afghana e il pieno appoggio politico a RAWA e a Hambastagi nata nel 2003 (Solidarity Party of Afghanistan, http://hambastagi.org/new/en/ ).

La richiesta che arriva da RAWA è che il riconoscimento del ruolo delle organizzazioni democratiche come interlocutrici politiche al posto dei terroristi e dei fondamentalisti che siedono oggi al governo, passi attraverso un supporto pieno e incisivo da parte delle numerose realtà territoriali della società civile europea. E che tale supporto sia così incisivo da condizionare finalmente le scelte dei governi nazionali e delle istituzioni comuni europee al fine di sostenere l’autodeterminazione del popolo afghano e creare una grande rete di sostegno alla loro resistenza in Europa.

Il filo rosso che collega Kabul alle capitali europee non è così solo quello che tante persone in fuga percorrono lungo la rotta balcanica, ma anche la Resistenza comune per la democrazia, l’autodeterminazione e la fine delle guerre imposte dalla politica neocoloniale dell’occidente.

CISDA ha lanciato la proposta di una coalizione le cui caratteristiche si possono leggere nel dettaglio qui  https://www.cisda.it/progetti/coalizione-per-la-democrazia-e-la-laicit%C3%A0-in-europa-e-in-afghanistan/2460-coalizione-per-la-democrazia-e-la-laicit%C3%A0-in-europa-e-afghanistan-come-attivarsi.html nella convinzione che il forte legame esistente tra la resistenza in Europa a forme di repressione dei diritti verso cittadini europei, persone in movimento e popoli che reclamano il rispetto della propria autodeterminazione, sia parte integrante e fondamentale della difesa dei diritti civili e della libertà di espressione del dissenso delle società europee stesse.

In sintesi, le organizzazioni della società civile europea che aderiscono a questa coalizione chiedono che i governi dei propri paesi e le istituzioni dell’Unione Europea:

non forniscano nessun riconoscimento al regime dell’Emirato islamico e non trattino nessuna forma di contenimento delle migrazioni, cessino la politica di contenimento delle migrazioni fondata sull’esternalizzazione e la militarizzazione delle frontiere

riconoscano come interlocutori politici le forze laiche e democratiche afghane come RAWA e Hambastagi e avviino azioni di supporto nei loro confronti e promuovano politiche fondate sull’autodeterminazione della donna e una decisa lotta alla violenza di genere ovunque nel mondo, a partire dall’Afghanistan, e nell’Europa stessa

cessino, e facciano cessare anche nei paesi ai quali hanno delegato il controllo dei flussi migratori, qualsiasi pratica di respingimento, riammissione e detenzione, e blocchino le pratiche di controllo delle frontiere fondate sull’utilizzo della violenza nei confronti di persone inermi. Organizzino corridoi umanitari e ponti aerei

blocchino, attraverso il progressivo disinvestimento nell’industria degli armamenti, il ciclo perverso delle “guerre infinite” che imprigiona l’Afghanistan e buona parte delle popolazioni del Medioriente, cessino di conformarsi ai diktat statunitensi e istituiscano, sempre in collaborazione con la società civile europea e afghana, un Osservatorio speciale per il monitoraggio delle violazioni dei diritti umani in Afghanistan

Emergency a sostegno delle donne afghane

“È fondamentale stare vicini agli afghani oggi che si sono sentiti abbandonati e traditi da quelle forze internazionali che hanno abbandonato il Paese”.

Da 20 anni Emergency https://www.emergency.it/  lavora in Afghanistan. I suoi ospedali sono sempre rimasti aperti anche nei momenti più difficili, come quest’estate. Ad Anaba nella valle del Panshir, il centro per la maternità è arrivato a fare oltre 700 parti al mese. “Sono numeri come quelli dell’ospedale Buzzi di Milano, tanto per fare un paragone”, spiega Manuela Valenti, referente pediatrica della divisione Medica del Field Operations Department che per anni ha lavorato nel Paese. “All’inizio ci dicevano che nessuna donna sarebbe venuta a partorire qui, ma è stata una scommessa vinta”.

Lo staff del centro è composto da sole donne.

“Questo è un luogo dove si sentono accolte, vengono curate gratuitamente e hanno diritto all’istruzione e al lavoro. Due elementi fondamentali nel processo di emancipazione”. Qui non si fa solo assistenza ma anche formazione. “Il centro ha creato una classe di professioniste negli anni che nei primi anni erano rare”, racconta Michela Paschetto, direttrice area emergenza e sviluppo, che sottolinea come l’arrivo del nuovo governo abbia provocato il blocco dei finanziamenti dall’estero. Il risultato è che il sistema sanitario afghano si trova a fronteggiare “una carenza di risorse” a fronte di “un aumento dei bisogni”.

Dove sono finiti gli afghani e le afghane in fuga?

Lo chiede la campagna Io Accolgo https://ioaccolgo.it/ , coalizione di 48 realtà associative che ha denunciato come i migranti in fuga dai Talebani continuino a essere respinti alle frontiere esterne e si vedano negato il diritto di asilo.

Peggiore delle aspettative è poi la situazione delle circa 5mila persone evacuate da Kabul ad agosto e atterrate a Fiumicino: solo il 10% si trovano nei progetti di accoglienza dei Comuni, le altre nei Centri di accoglienza straordinaria dove sono erogati molti meno servizi. In linea con le politiche europee Roma finanzierà la presenza dell’Oim (Organizzazione Internazionale per le migrazioni) al confine tra Pakistan e Afghanistan e sarà da vedere come verrà gestita questa frontiera.

In Italia sull’accoglienza e l’integrazione delle rifugiate afghane, competenza del Ministero degli Interni, fornisce qualche dato il sottosegretario Ivan Scalfarotto: 4.890 rifugiate/i nei CAS e SAI (ex SPRAR), di cui 1.300 circa sono donne e 1.400 i bambini, oltre 25 minori non accompagnati. Il programma prevede un ingresso di altre 1.200 persone. Poche secondo Pangea che segnala 2.500 attiviste da salvare.

La nostra solidarietà va alle sorelle afghane che ci ricordano che “l’aiuto a noi lo date se nel vostro luogo portate avanti la battaglia per la libertà femminile, cercando di mantenere fermo lo sguardo sulla società in cui vivete, anche per evitare la facile fuga di considerare che il problema sia in Afghanistan e non altrove”.

Il patriarcato, come ben sappiamo, struttura anche la società italiana e, in ogni luogo del mondo, l’oppressione maschile delle donne è diffusa e la violenza è funzione del dominio.  Non pensiamo alle sorelle afghane in termini di “noi” e “loro”. La lotta per la libertà delle donne è una sola, sappiamo che in ogni parte del mondo è necessario portare avanti di una lotta comune che ci sostiene a vicenda.

Possiamo avere parte attiva in questa lotta. Che fare?

Con Cisda

cosa puoi fare tu   https://www.cisda.it/progetti/cosa-puoi-fare.html

COORDINAMENTO ITALIANO SOSTEGNO DONNE AFGHANE Onlus

BANCA POPOLARE ETICA    IBAN: IT64U0501801600000000113666

È possibile scegliere di destinare il 5×1000 alle donne afgane attraverso il CISDA – Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane    Codice fiscale 97381410154

Con Emergency

https://www.emergency.it/rendiamo-il-2022-un-anno-di-pace/ https://regalisolidali.emergency.it/prodotto/formazione-donna-afgana/

Dona il tuo 5×1000 a EMERGENCY   CF 97147110155

Fonti

Il Manifesto, il Post, Il Fatto Quotidiano, Cisda, Emergency, ioaccolgo

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