“L’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita” (1973), di Elena Gianini Belotti. Recensione a cura di Martina Magon
“Dalla parte delle bambine”, il saggio più conosciuto di Elena G. Belotti, insegnante, pedagogista e direttrice (dal 1960 al 1980) del Centro Nascita Montessori di Roma, è il frutto dell’osservazione diretta del bambino dalla nascita alle scuole medie.
L’autrice pone particolare attenzione all’età dagli zero ai sei anni perché l’influenza della cultura (tradizioni e credenze del gruppo sociale di appartenenza, della famiglia e delle istituzioni) produce aspettative diverse rispetto al genere e si impone gradualmente, delineandosi fin dai primi anni di vita e risultando particolarmente marcata e insistente dai due anni in poi.
“A poco più di un anno, nonostante le pressioni educative differenziate cui i bambini sono stati sottoposti […] è ancora arduo catalogare maschi e femmine a seconda del loro comportamento tanto a quell’età si somigliano, amano, scelgono, fanno le stesse cose.
Le differenze non sono molto evidenti e c’è sempre da chiedersi se debbano ascriversi al temperamento innato di ognuno o al sesso.
Infatti, si presentano spesso differenze di comportamento più marcate tra bambini dello stesso sesso che tra bambini di sesso diverso e questo è tanto più vero quanto più i bambini sono piccoli.”
Quanto peso ha la cultura, l’ambiente di vita, e quanto la biologia umana nello sviluppo psichico dei bambini?
Quanto peso hanno le aspettative e i condizionamenti nel manifestarsi delle caratteristiche attribuite ad un genere?
Belotti nota come a tre anni la “profonda differenza tra maschi e femmine già totalmente attuata a questa età, ribadisce la convinzione che si tratti di fenomeni naturali, di comportamenti dettati dal diverso modo di essere biologico.”
Precisa, però, che “Può darsi che la biologia c’entri ma non potremo saperlo se non quando i condizionamenti secondo il sesso saranno scomparsi.”
La ricerca e l’esperienza dell’autrice la rendono affine a quegli autori che osservano quanto l’apprendimento dell’educazione a considerarsi maschio o femmina sia elemento determinante dell’identificazione sessuale, ancor più dei fattori ormonali e genetici.
Dunque, nel 1973, l’autrice scrive a chiare lettere che, quando si parla di differenze di genere, l’apprendimento delle regole e valori che alla cultura dominante preme conservare e trasmettere, influisce in proporzione maggiore rispetto alla biologia nella formazione dell’identità.
Lungo tutto il saggio si delinea la presa di coscienza che in realtà non esistano qualità unicamente maschili e qualità unicamente femminili ma solo qualità umane e che il lavoro da compiere sia “restituire ad ogni individuo che nasce la possibilità di svilupparsi nel modo che gli è più congeniale, indipendentemente dal sesso cui appartiene”.
“[…] non è in potere di nessuno modificare le eventuali cause biologiche innate, ma può essere in nostro potere modificare le evidenti cause sociali e culturali delle differenze tra i sessi; prima di tentare di cambiarle è però necessario conoscerle.”
Belotti invita a spezzare la catena dei condizionamenti diventando coscienti della genesi di queste dinamiche (piccoli gesti quotidiani e reazioni automatiche interiorizzate nel processo educativo, pregiudizi, stereotipi, rigide regole sociali, …), non replicandole acriticamente ma impegnandosi a non perpetuarne la trasmissione a propria volta.
Entrambi i sessi subiscono forti restrizioni e impedimenti:
“Che cosa può trarre di positivo un maschio dall’arrogante presunzione di appartenere ad una casta superiore soltanto perché è nato maschio?
La sua è una mutilazione altrettanto catastrofica di quella della bambina persuasa della sua inferiorità per il solo fatto di appartenere al suo sesso.
Il suo sviluppo come individuo ne viene deformato e la sua personalità impoverita, a scapito della loro vita in comune.”
Il titolo, però, fa ben intendere che l’autrice, pedagogista esperta di prima infanzia, si schiera dalla parte delle bambine. Perché?
“La parità dei diritti con l’uomo, la parità salariale, l’accesso a tutte le carriere […] sono già stati offerti, almeno sulla carta, alle donne, nel momento in cui l’uomo lo ha giudicato conveniente.
Resteranno però inaccessibili alla maggior parte di loro finché non saranno modificate le strutture psicologiche che impediscono alle donne di desiderare fortemente di farli propri.”
L’autrice approfondisce e ne conclude che “Sono queste strutture psicologiche che portano la persona di sesso femminile a vivere con senso di colpa il tentativo di inserirsi nel mondo produttivo, a sentirsi fallita come donna se vi aderisce e a sentirsi fallita come individuo se invece sceglie di realizzarsi come donna” infatti, sottolineando che l’educazione dei figli è affidata soprattutto alle donne, conduce a riflettere sul fatto che un regolare lavoro a tempo pieno non permetterebbe loro di dedicare abbastanza tempo alla prole nel caso in cui decidessero di averne e, viceversa, la scelta di allevare figli impedirebbe la possibilità di dedicarsi ad un regolare lavoro a tempo pieno nel caso aspirassero ad una realizzazione personale in campo lavorativo.
“Il bisogno di realizzare se stesse come individui, l’autoaffermazione, il desiderio di autonomia e di indipendenza la cui mancanza si rimprovera alle donne, nell’adolescenza, al momento delle scelte fondamentali, hanno già subito dure scosse:
e questo è avvenuto fin dalla primissima infanzia.”
“Negli strati meno evoluti della popolazione, dove gli stereotipi maschili e femminili sono più accentuati e le variazioni meno tollerate” così come “nelle classi più evolute, dove ci si aspetterebbe che la divulgazione scientifica fosse penetrata […] il gioco delle aspettative, opposte per i due sessi, comincia […] prima ancora che i bambini nascano, e non avrà mai fine”.
Molte usanze popolari che hanno lo scopo di indovinare il sesso del nascituro, propongono indizi, nella maggior parte dei casi, positivi per il maschio e negativi per la femmina:
Nascerà maschio se il ventre è ingrossato a destra o saranno più grossi il seno o la natica destri o se il piede destro sarà più irrequieto del sinistro … Il lato destro del corpo è considerato il più importante, il più nobile, il più forte, il più attivo.
Nascerà maschio se la gestante è di buonumore, se il colorito è roseo, se imbellisce, se la gravidanza e il parto sono facili, se è stato concepito con la luna crescente, se la moneta cade dalla parte della testa, … Se il battito cardiaco del feto è rapido e la mobilità precoce, infatti, “poiché si vuole che i maschi siano più vivaci, più vitali rispetto alle femmine, che al contrario devono essere tranquille e passive, i movimenti del feto si interpretano in questa chiave.”
“Tutti gli indizi di cui abbiamo parlato rappresentano già perfettamente gli stereotipi sessuali maschili e femminili così come sono configurati nella nostra cultura e rivelano quanto questi modelli siano potentemente radicati in noi, se tendiamo ad attribuire ai bambini certe caratteristiche considerate tipiche dei due sessi, prima ancora che nascano.”
“L’aspirazione più comune attualmente è quella di avere due soli figli, il primo maschio e la seconda femmina. […] Questo esasperato desiderio di avere figli di sesso diverso, con netta preferenza per i maschi, non avrebbe ragione di essere se le aspettative dei genitori non fossero così radicalmente differenti nei riguardi dei due sessi.”
“Il fatto è che mentre la realtà sociale cambia con sempre crescente rapidità, le strutture psicologiche dell’uomo mutano con estrema lentezza. […] Il mondo si regge proprio sulle compresse energie femminili che fungono da serbatoio per il genere che per millenni è stato il detentore del potere.”
“Come Freud ha messo in evidenza, l’unica relazione veramente soddisfacente è quella che lega la madre al figlio maschio, mentre tutto fa supporre che anche la madre più affettuosa e materna sia ambivalente verso la figlia”.
Infatti, nonostante la conclamata serie di pregi ascrivibili alle bambine (affettuose, grate, carine, di compagnia, dolci, laboriose, ordinate, pulite, composte, diligenti, …) “è opinione comune che esse siano più difficili da educare. Perché?”
La dura risposta dell’autrice è che “é molto più difficile e faticoso comprimere energie spesso prepotenti e pretendere che si ripieghino su se stesse per poi atrofizzarsi lentamente che darne libero corso e stimolarle. È più semplice spingere un individuo verso il proprio sviluppo che reprimere l’impulso all’autorealizzazione presente in tutti gli individui a prescindere dal sesso.”
L’attesa del figlio,
La prima infanzia,
Gioco, giocattoli e letteratura infantile,
Le istituzioni scolastiche: la scuola infantile, elementare e media
I quattro capitoli di cui il saggio di Belotti è composto, dimostrano come stereotipi e aspettative degli adulti siano sfavorevoli alle bambine (minando la loro realizzazione personale e incoraggiandone la remissività) e alla conseguente rappresentazione della figura femminile adulta. Inoltre, dimostrano come la donna stessa sia, al contempo, vittima e prosecutrice di un sistema educativo che penalizza il suo genere.
Nell’ultimo capitolo l’autrice riporta una ricerca condotta nella scuola media e conclude così:
“La questione di principio se fosse giusto discriminare le attività dei ragazzi in base al sesso fu tacitata con l’osservazione che ‘lo prevedono anche i programmi ministeriali’ quasi che questi rappresentassero l’essenza stessa della verità e della giustizia e non potessero essere soggetti a revisioni e critiche.
Si verificò, in questo caso, che le donne fossero incapaci di scorgere, nel fatto preso in esame, un atto discriminatorio e perciò ingiusto che contribuiva a deformare le coscienze dei ragazzi, e come in tanti altri casi analoghi, difendessero posizioni conservatrici a danno del loro stesso sesso.”
Recensione chiara che ti fa coinvolge pienamente nell’argomento che si sta trattando. Non noiosa e ripetitiva.
Argomento trattato poco all’interno della società ma mai come oggi è più attuale.
Grazie a chi si occupa di divulgarlo!