Rispetto alle discriminazioni di genere, sostiene Murgia, “la politica del linguaggio non sembra la cosa più importante da perseguire ma è invece quella da cui prendono le mosse tutte le altre perché il modo in cui nominiamo la realtà è anche quello in cui finiamo per abitarla”. Recensione del libro di Michela Murgia a cura di Martina Magon
In questo breve libro, la scrittrice Michela Murgia sostiene che, nel dibattito sulle differenze di genere, sia doveroso riflettere attentamente sull’uso delle parole. Come è noto infatti i pregiudizi, compresi quelli che riguardano il sesso di appartenenza, passano e si propagano anche attraverso il linguaggio.
“Il linguaggio è un’infrastruttura culturale che riproduce rapporti di potere.”
Scrive Murgia: “Alcune donne, convinte che i problemi siano ben altri, hanno rinunciato alla pretesa di vedersi declinare secondo il proprio genere la carica che ricoprono.
L’imposizione del così detto maschile universale (ad esempio il sindaco donna invece di sindaca) è un modo per dire alle donne che stanno occupando abusivamente il posto di un uomo ma che questa anomalia durerà talmente poco che non vale nemmeno la pena di rispettare la grammatica trovando una parola adatta che la definisca.”
Rispetto alle discriminazioni di genere, sostiene Murgia, “la politica del linguaggio” in apparenza “non sembra la cosa più importante da perseguire ma è invece quella da cui prendono le mosse tutte le altre perché il modo in cui nominiamo la realtà è anche quello in cui finiamo per abitarla”.
Murgia si augura che tra un decennio le dieci frasi elencate e analizzate in questo scritto siano state superate da espressioni derivanti da una mentalità più paritaria.
Stai zitta
“Il vecchio adagio sessista veneto che immagina la donna ideale come una creatura che la piasa, la tasa e la resta a casa (che sia bella, zitta e a casa) è ancora attuale nella testa di molti e molte” infatti, fermo restando che il diritto di espressione è sancito dalla nostra Costituzione e non prevede differenze di genere, nella realtà dei fatti “la sproporzione nella possibilità di parola tra i sessi”, un’evidenza che l’autrice suggerisce calorosamente di osservare con attenzione nei mass media (tv e giornali), “ha educato” il pubblico “ad associare l’autorevolezza a un uomo e a vedere nella donna che ha un parere l’eccezione che va motivata”.
Se si analizzano le trasmissioni di dibattito, gli ospiti sono in grandissima maggioranza maschi e Murgia giustifica questo dato con il fatto che, a causa della tradizionale mentalità maschilista, si suppone che siano principalmente gli uomini ad avere le risposte alla complessità del mondo.
Ormai siete dappertutto
Nel 2018, Murgia inizia a contare le firme di donne sulla prima pagina dei principali quotidiani italiani, “la Repubblica” e il “Corriere della sera”:
“Quel che volevo dimostrare era piuttosto semplice: non è vero che le donne sono dappertutto. […]
Non si può cambiare la realtà da un giorno all’altro, ma nessuna realtà comincerà mai a cambiare se la necessità del cambiamento non diventa evidente a tutti.”
Ne risultò, infatti, che le giornaliste a firmare quegli articoli erano poche e confinate soprattutto a “pezzi di costume o riflessioni su temi ritenuti di ‘pertinenza femminile’ come il femminicidio, la violenza di genere o la disparità di salario”.
Contare le donne (cioè metà della popolazione) nelle prime pagine dei giornali, nei dibattiti, nei posti di comando “rende palese il dislivello di rappresentazione tra i sessi e spazza via la diffusa presunzione che la parità sia ormai raggiunta”.
“L’azione del contare” all’inizio produsse “sarcasmo da parte degli uomini e scetticismo da parte delle donne” e i più la ritenevano pura polemica, dopo alcune settimane però, aumentò esponenzialmente il numero di coloro che ammettevano di non aver mai realmente fatto caso all’ “imponenza del dislivello di genere nei principali organi di informazione, pur avendolo sotto gli occhi tutti i giorni.”
Come hai detto che ti chiami?
L’autrice sostiene che usare il nome proprio per parlare di un soggetto già legittimato e forte come un uomo di potere, lo renda più amichevole e simpatico alla gente poiché in questo modo sembra scendere dal piedistallo privilegiato che lo distanzia dalla maggioranza delle persone.
Al contrario, però, ribadendo la non ancora effettiva parità tra i sessi, Murgia sostiene che rivolgersi a una ministra e a quante ricoprono cariche nell’amministrazione dello Stato o a un’avvocata e a qualsiasi altra professionista col solo nome di battesimo sia delegittimante e depotenziante poiché ne diminuisce l’autorevolezza della funzione ricoperta riportandola alla condizione di principiante e sottintende la sua incapacità di reggere la responsabilità che porta.
La scrittrice sostiene inoltre che applicare l’articolo determinativo davanti al cognome delle donne sia discriminante poiché al maschile questo non avviene poiché l’articolo si pone davanti a nomi di cose e non di persone.
Per finire critica la spersonalizzazione, notata in molti titoli di giornale, che sta alla base del privare le persone di sesso femminile del loro nome e dei titoli riducendole al solo essere donna, mamma, signora o signorina.
Brava e pure mamma
“La tradizionale domanda sulla conciliazione tra lavoro e famiglia rivolta alle donne di successo quasi mai viene rivolta ad un uomo al culmine della carriera.”
Dalla donna potente che è anche madre ci si aspetta più indulgenza per via del suo istinto materno che si presume estensibile alla sfera lavorativa, infatti “sembra far meno paura a chi il potere lo ha visto fino a quel momento solo in mano agli uomini, il cui essere padri o meno ovviamente non ha mai fatto alcuna differenza sul loro grado di ferocia.”
Spaventi gli uomini
Murgia riflette sul fatto che la frase “Hai ragione ma sbagli i toni” contiene spesso il sottotesto
“Protesta pure gentilmente e silenziosamente, così possono continuare ad ignorarti.”
Racconta l’autrice che, quando nel 2013 decise di candidarsi alla presidenza della regione Sardegna, un esperto di comunicazione politica le consigliò di usare formali giacche color pastello spiegandole che, per via del suo attivismo femminista, aveva un profilo pubblico aggressivo da rendere quindi più rassicurante.
Le donne sono le peggiori nemiche delle altre donne
Il patriarcato enfatizza in modo esasperato la conflittualità interfemminile usandola per nutrire la leggenda delle donne che si detestano, poiché nei sistemi maschilisti è essenziale che le donne credano che le loro peggiori nemiche siano proprio le altre donne, rendendole inconsapevolmente complici del sistema che alla fine le opprime tutte.
Tutte le volte che il femminismo ha raggiunto dei traguardi lo ha fatto rompendo questo schema.
Io non sono maschilista
L’autrice invita tutti gli uomini ad assumersi la responsabilità che deriva dall’essere più consapevoli di vivere in un sistema che li privilegiava e li privilegia, evidenziando che
“Il sessismo, come il razzismo, è una cultura aggressiva e pensare che basti viverci dentro passivamente per non averci niente a che fare è un’illusione che nessuno può permettersi di coltivare.”
Murgia, inoltre, specifica che mentre “La colpa è un carico morale esclusivamente personale […] la responsabilità è un carico etico collettivo che ci riguarda tutti e tutte perché le regole che seguiamo ogni giorno reggono la disuguaglianza che viviamo.”
Sei una donna con le palle
È dai luoghi comuni sessisti sui maschi che deriva quello della donna con gli attributi per riferirsi ad una donna di carattere. Si impara così che le donne che si meritano il rispetto paritario degli uomini sono quelle che agiscono per diventare la copia dello stereotipo sociale del maschio forte (molto competitivo, scaltro e determinato) da sempre all’apice del modello gerarchico di potere.
Le donne davvero emancipate, invece, sono quelle che riescono a mettere in discussione questo modello e i suoi meccanismi.
Adesso ti spiego
“Il mio professore di italiano alle superiori amava ribadire che doveva pur esserci un motivo se non era mai esistito uno Shakespeare donna ed era sinceramente convinto che quel motivo fosse il limite femminile” e non la disparità di accesso all’istruzione nel corso dei secoli.
“Comincia quando a sette anni regalano il piccolo chimico a tuo fratello e a te mettono in mano una bambola e continua dieci anni dopo quando, troppo tardi, durante l’ultimo anno di liceo, faranno campagne per ‘avvicinare le ragazze’ alle materie scientifiche, sottintendendo implicitamente che se ne siano allontanate da sole.”
Secondo Murgia “la sottovalutazione della capacità di pensiero delle donne ha risvolti in ogni ambito della vita sociale” e nota tra le conseguenze la facilità con cui nel corso della sua vita ha subito delle spiegazioni non richieste da uomini che la svalutavano pur essendo, in certi ambiti, meno competenti di lei ma molto sicuri di sé (pratica paternalistica denominata mansplaining).
Era solo un complimento
L’autrice, infine, invoca un modo diverso di guardare e di essere visti, uno sguardo che va educato anche attraverso la consapevolezza dell’importanza della pratica del consenso (che va chiesto e non solo supposto in base alla propria esperienza ed interpretazione personale) e
della necessità di essere in grado di adeguare il proprio comportamento al contesto.
In conclusione, l’analisi delle “frasi che non vogliamo sentire più”, proposta da Michela Murgia, evidenzia che con le parole che scegliamo di usare possiamo rendere il mondo più libero da stereotipi e pregiudizi e quindi più vera e piena la nostra vita.
La prima cosa che una donna deve fare è PARLARE.
Condivido i pensieri della signora Murgia e la recensione fatta lì analizza e spiega in maniera netta e chiara.
Grazie a chi mette a disposizione il proprio tempo per condividere pensieri così saggi e veritieri che ci devono assolutamente rendere migliori!
Questo libro trovo sia un punto di riferimento da dove partire per impostare l’educazione di figlie, figli, nipoti e, se insegnate, allieve e allievi.
Senza tralasciare di regalarlo ad amici per approcciare cosa significhi essere donna in una società che continua il suo essere androcentrica