Monselice, una città in movimento

A Monselice c’è stata una rivoluzione. Di quelle che si fanno nei regimi democratici. Perché sì, possiamo votare, abbiamo delle leggi che dovrebbero tutelarci, i vari interessi dovrebbero essere tenuti in considerazione. Dovrebbero, appunto. Quando la democrazia diventa apparenza, serve altro.

I quattro mesi di mobilitazione cittadina hanno cambiato la storia di questa città, che ha dato una lezione ai “piani alti” della politica e sarà sicuramente di ispirazione per altri movimenti che dovranno lottare per difendere i propri diritti e i propri territori.

Si sono potuti osservare, tra gli altri, almeno due aspetti rilevanti:

  • Il primo è la totale inadeguatezza che le istituzioni pubbliche, a vario titolo coinvolte in questa vicenda, hanno dimostrato non sapendo o non volendo gestire con democraticità e trasparenza i vari passaggi.

Il Comune, che sin dall’inizio ha dato prova di chiusura ed arroganza nei confronti delle rimostranze dei cittadini, che sono stati prima ignorati e poi attaccati con epiteti talvolta poco lusinghieri, salvo poi cambiare atteggiamento solo grazie alla continua e pressante attenzione che il Movimento ha saputo mantenere alta per tutto il tempo. Spiace dover constatare che degli attacchi, ad onor del vero, si sono registrati anche dalle file della minoranza consiliare: pur non essendo riusciti a indebolire il Movimento, tuttavia di questo prima o poi qualcuno dovrà rispondere e fare pubblicamente ammenda.

La Provincia, che ha mandato il suo Vicepresidente Fabio Bui a prendersi impegni in consiglio comunale davanti a centinaia di cittadini, salvo poi disattenderli a distanza di soli due giorni, in una seduta della CTPA dal cui verbale si evince una superficialità di atteggiamento – sua e di tutti gli altri membri – che lascia sgomenti.

I cosiddetti “tecnici esperti”: se loro sono gli esperti, c’è da mettersi le mani nei capelli. Funziona così: sono le istituzioni pubbliche, a guida politica democraticamente eletta, a dover prendere le decisioni. Ma siccome un politico non può essere un tuttologo, ecco che a suo supporto arrivano i tecnici, gli esperti di un determinato settore, per coadiuvare il decisore fornendogli tutti gli elementi utili per prendere una decisione consapevole. Ha dell’incredibile il modo in cui questi tecnici hanno preso per oro colato i dati forniti dalla cementeria, senza un minimo di spirito critico che dovrebbe essere principio cardine per ogni scienziato, senza una ricerca ulteriore nella letteratura scientifica, il tutto – giova sempre ricordarlo – a spese dei contribuenti. Solo il notevole e gratuito sforzo dei tecnici membri del Movimento ha permesso di far salire a galla gli errori madornali ed eclatanti sui quali sono state prese delle decisioni importanti. E questo è uno degli elementi più preoccupanti, a nostro avviso, di tutta la vicenda.

  • Il secondo è la capacità, che (forzando volutamente il termine) possiamo definire rivoluzionaria, dimostrata da questo Movimento. Non dobbiamo infatti mai dimenticare il fatto che “i giochi” si facevano in CTPA: l’autorizzazione formale, effettivamente, sarebbe stata la dovuta conseguenza a quanto emerso nella Commissione. E la commissione si era espressa favorevolmente all’unanimità. Quattro mesi di mobilitazioni a tutti i livelli (cittadino, provinciale, regionale e prefettizio) hanno permesso di ribaltare una decisione alla quale mancava solo l’ultimo sigillo definitivo. È qui che è stato piantato il germe rivoluzionario: quando le istituzioni, anche in regime democratico, non tutelano i diritti fondamentali della persona (come il diritto alla salute ed il diritto di vivere in un ambiente salubre, nella fattispecie), ecco che i cittadini riescono ad invertire la rotta ufficiale attraverso strumenti di partecipazione dal basso, di mobilitazione vasta, pacifica ma determinata, di consapevolezza e di progettualità di lungo respiro. Questo – e solo questo – è il fattore che ha permesso di ottenere il risultato dell’annullamento dell’iter burocratico che avrebbe potuto portare la cementeria a bruciare rifiuti in pieno centro abitato e a poche centinaia di metri da diverse scuole di ogni ordine e grado: qualsiasi altra soluzione sarebbe stata infatti un sopruso inaccettabile agli occhi del corpo sociale.

Quali sono le prospettive allora? È troppo presto per cantare vittoria. Non possiamo escludere che si ritenti di ottenere l’autorizzazione alla combustione di CSS-C attraverso altre vie o sulla base di altri elementi, per cui l’attenzione va tenuta sempre molto alta e gli occhi spalancati.

Ma c’è un dato inoppugnabile: a Monselice si è dimostrato che la mobilitazione non è vana, che può ottenere risultati importanti, che laddove la politica con la “p” minuscola si è dimostrata superficiale e ad ampi tratti arrogante, i cittadini hanno saputo riappropriarsi degli spazi di democrazia e di saper fare la Politica con la “P” maiuscola, quella che si occupa del bene comune e del futuro delle prossime generazioni, dimostrando che si può essere protagonisti e artefici del proprio destino, con buona pace di chi, il nostro destino, lo vuole scrivere sopra le nostre teste.

Il gruppo “Nuova Monselice”

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