Lavoro di cura e Covid-19

Il confinamento nelle case, l’ecatombe nelle case di riposo per anziani, le complesse problematiche di gestione di bambini, adolescenti, giovani adulti, rimettono al centro l’importanza strutturale del lavoro di cura. Alcuni spunti di Carla Manfrin.

  • Il confinamento nelle case a cui siamo stati costretti a tutela della salute nostra e altrui, il faticoso funzionamento della sanità pubblica che è stata sacrificata, nell’ultimo decennio in particolare, a logiche privatistiche e di profitto, l’ecatombe nelle case di riposo per anziani, le complesse problematiche di gestione di bambini, adolescenti, giovani adulti  – che non hanno più potuto sperimentare la dimensione della socialità in presenza – ha evidenziato l’importanza strutturale del lavoro di cura e portato a comprendere che il lavoro di cura ha le sue necessità e i suoi tempi, a capire quanta fatica e quanto tempo esso richiede e, soprattutto, quanto produzione e cura  siano interconnessi.
  • L’Istat ci mostra come, anche da prima del Covid19, una reale condivisione del lavoro di cura in Italia fosse lontana dal realizzarsi: in media una donna lavora circa tre ore al giorno in più rispetto all’uomo e quelle tre ore sono dedicate al lavoro di cura. Forse, in questa fase che ha imposto di rivedere tempi e organizzazione della vita quotidiana, a fronte dell’impegno professionale delle donne – dagli ospedali alla grande distribuzione – alcuni uomini avranno ripensato a questa suddivisione sbilanciata del lavoro in casa, divisione data come naturale e scontata e saranno stati portati dagli eventi a ripensare il loro ruolo fra le mura domestiche. Chissà se le politiche pubbliche sosterranno questi auspicabili mutamenti privati…
  • Ritorniamo al fatto che lavoro e cura, produzione e cura  sono interconnessi  e che, quindi, non è possibile separare il lavoro di produzione dal lavoro di cura perché il lavoro di produzione significa anche organizzazione sociale, tempi di vita e di lavoro delle persone, rapporto tra lavoro produttivo e riproduttivo.

Cosa succederà nella fase 2 – e nelle seguenti – se molti adulti saranno chiamati a tornare al lavoro senza scuole, welfare pubblico o privato, e sostegno familiare? 

  • Cosa succederà se, ancora una volta, dimenticheremo che le persone che sono impiegate nel mondo del lavoro  hanno comunque una vita da programmare e organizzare, che tale dimensione garantisce la riproduzione delle condizioni di vita loro e, se e quando ci sono, quelle dei figli e dei genitori anziani in condizioni di debolezza o fragilità?
  • Un piano per le bambine e i bambini, ad esempio, non solo sarebbe il riconoscimento del loro diritto alla socialità e alla conoscenza, ma anche uno dei pezzi fondamentali dell’organizzazione sociale che consente di rimettere in moto non solo l’economia ma la vera vita di chi in questo Paese vive.
  • Il lavoro di cura da sempre è stato lavoro gratuito, soprattutto delle donne, madri di figli piccoli o figlie di genitori anziani, ma anche delle nonne e dei nonni, oggi isolati con maggior asprezza;
  • Il lavoro di cura è stato quello garantito dal sistema di welfare (anch’esso sempre più attaccato dalla logica del profitto)…
  • dal lavoro retribuito che ha consentito di appoggiarsi a migliaia e migliaia di colf, badanti e babysitter spesso straniere e ancor più spesso in nero o senza contratti pienamente regolari e quasi del tutto dimenticate dal Decreto Cura Italia.
  • L’ impegno alla cura –  faticoso, essenziale per le nostre vite e per le nostre relazioni, che occupa tanto tempo prezioso – potrà finalmente essere pensato in termini di piena condivisione fra uomini e donne e di welfare di comunità,  continuando a immaginare come ripensare servizi e luoghi essenziali del welfare pubblico.
  • Altrimenti si alzerà il rischio che, nella difficile ripresa del dopo pandemia, si torni a ignorare la centralità della cura della vita e che le donne siano non solo escluse dal mondo del lavoro esterno ma  portate a rinunciare volontariamente al proprio lavoro:  le donne sono le più qualificate, le meno pagate (in Italia il gender pay gap è pari al 17,8%) e le più soggette al part time involontario. https://www.istat.it/it/archivio/239003
  • E troppe escono dal mondo del lavoro una volta avuto il secondo figlio perché in un’economia di costi-benefici vale la pena che restino a casa, a fronte del fatto che gli aiuti extra familiari costano troppo e che statisticamente il loro compagno guadagna di più.
  • Il lavoro di cura, inoltre, è da sempre in questo Paese una delle sacche del lavoro nero. E proprio in questo momento si potrebbe cogliere l’opportunità per mettere a punto incentivi e detassazioni per l’emersione, così come si sta ipotizzando per il lavoro agricolo affidato spesso a migranti costretti a forme di lavoro servili e senza tutele e diritti.
  • L’Appello per una democrazia della cura contiene importanti analisi e suggerimenti http://www.ingenere.it/articoli/verso-una-democrazia-della-cura e si conclude con queste osservazioni “Si tratta allora, di muoversi verso nuove forme di democrazia, in gran parte da elaborare con un appassionante sforzo collettivo; forme di democrazia in cui la cura – cura delle persone, delle relazioni e dell’ambiente – sia un aspetto cruciale. Questo significa, tra l’altro, ripensare e rivalutare a il lavoro, finora largamente misconosciuto, delle persone che si prendono cura quotidianamente, gratis, dei propri familiari, amici, vicini, sia il lavoro di chi svolge tali attività professionalmente, in qualità di colf, assistenti familiari (badanti), babysitter. Questo significa elaborare nuove sinergie, capaci di superare le contrapposizioni tra pubblico e privato, famiglie e istituzioni in vista di un maggior benessere individuale e collettivo: insomma una vera democrazia della cura”.

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